01 Agosto 2009 - L'Iphigenie auf Tauris di Gluck Strauss ha concluso
trionfalmente ieri sera il 35esimo Festival della Valle d' Itria in assoluta
bellezza: dopo infatti l'inaugurazione affidata ad un Orfeo discusso e
discutibile, un Re Lear estremamente interessante sul piano musicologico, meno
su quello empatico-emozionale, con l'ultima opera abbiamo assistito ad un vero e
proprio capolavoro: al Direttore Artistico il merito di aver recuperato ‘dal
cassetto' l'ennesimo titolo inconsueto che coniugava però una potenza espressiva
e musicale davvero di primissimo ordine.
L'impianto di base è l'opera di Gluck l'Iphigenie en Tauris
andata in scena a Parigi nel 1778 e di lì a breve seguita dal quella del
pugliese Piccini, ‘rimaneggiata' a inizio Novecento da Strauss (erano operazioni
queste assolutamente consuete – si pensi all'Iphigenie en Aulide
‘riadattata' da Wagner- che oggi farebbero arricciare i capelli ai
musicologi e filologi musicali di ogni schiera o partito.
Tornando all'allestimento di questa superba Iphigenie (per la prima
volta rappresentata in Italia, non possiamo che dire bene, anzi benissimo).
Con una perfetta sintonia interpretativa, favorita anche da una regìa sobria che
metteva in risalto le comprovate capacità attorali dei singoli interpreti, si
fronteggiavano la coppia di Oreste e Pilade da una parte, a
rappresentare l'archetipo dell'amicizia per antonomasia (un caso analogo nel
mito è riscontrabile nel binomio Achille-Patroclo) nel confronto con la
solitudine ‘imposta' di Ifigenia e attraverso i colpi di scena nell'
articolazione drammaturgica del ‘meccanismo tragico' si assisteva alla
ricomposizione finale (lo ‘scioglimento' del nodo, il ‘riconoscimento',
l'agnizione di cui parlava Aristotele).
La direzione musicale di Ramon Tebar è stata asciutta e precisa
sempre attenta al suono dell' Orchestra in relazione a quanto di volta in volta
accadeva sul palcoscenico. Analogamente la regia di Oliver Kloeter,
degno allievo di Karsen, di concerto con le scene sobrie e funzionali ed
i costumi ‘minimalisti' di Darko Petrovic (entrambi protagonisti
dell'Idomeneo Mozart-Strauss allestito al Festival tre anni fa)
privilegiava il discorso narrativo e musicale, esemplificando al massimo le
situazioni rendendole chiare ed immediatamente intellegibile. L'opera, infatti,
nella versione novecentesca di Strauss, per la prima volta rappresentata in
Italia è in lingua tedesca: un particolare apprezzamento a tutti gli interpreti
per essersi cimentati convincentemente in una impresa tanto ardua: memorizzare e
interpretare parti lunghe e complesse in lingua tedesca. Peccato solo che nel
programma di sala non era riportata una versione tradotta in lingua italiana del
libretto.
A primeggiare su tutti il terzetto dei ‘greci': rispettivamente Oreste
(il basso cinese Liu Song-Hu), Pilade (il tenore italiano
Marcello Nardis, già apprezzato protagonista sul palcoscenico della Valle d'Itria)
ed Ifigenia ( la russa Olga Kotlyarova). Stupende le arie
direttamente filtrate dal modello gluckiano: l'aria vagheggiante ed ipnotica di
Oreste nobilmente cantata dal baritono Song-Hu, dal timbro nobile e
generoso (un graditissimo ritorno al Festival dopo anni di assenza) che rivive
la sua memoria e la colpa tragica, le arie di Ifigenia cantate con accesa
passione e partecipazione dal soprano russo Olga Kotlyarova (bellissima
quella di chiusura del primo atto “O du, die mich in Aulis schuetzte"… il
ricordo va alla Callas…) e quelle di Pilade interpretate con
toccante trasporto ed assoluta perfezione stilistica dal giovane tenore
Marcello Nardis.
Applausi e ripetute chiamate in scena per tutti gli interpreti. Bravi.
Davvero bravi.
V. R. Martina Franca, 04.08.09 |