“Il mio corpo alla Spagna, la mia anima a Dio e il mio cuore a Roma”.
Tale fu una delle ultime affermazioni del celeberrimo Giacomo Lauri Volpi,
ovvero un artista che praticò il teatro d'opera per circa 40 anni sotto le vesti
di un penetrante tenore lirico spinto, emulato e preso d'esempio fino
all'esasperazione dalle generazioni future dell'arte del canto.
La storia del tenore di Lanuvio, si perde così nella notte dei tempi, in un
epoca in cui chi era destinato a divenire una pietra miliare della storia
dell'opera, sembrasse avere destino comune (come ad esempio Caruso o Gigli) di
possedere umili origini dalle quali mai nessuno avrebbe potuto pensare il futuro
e la vita, come in questo caso, dell'ottavo di quei nove figli.
Dopo i disastri della guerra del 15 – 18 che lo vide protagonista al fronte, il
ragazzo delle campagne romane che durante le guardie militari spiegava la sua
diamantina voce per tenersi compagnia, decise così di inseguire la via del canto
anziché gli studi in giurisprudenza e con l'impervia a te o cara, dei Puritani,
fu notata quella fiammante grana vocale che gli valse la scrittura per Rigoletto
e il già detto Puritani di Bellini.
Gli anni passavano e l'artista giunto in posizione di uno dei maggiori tenori
lirici del suo tempo, sembrava avere diverse frecce al proprio arco, frecce che
si intitolavano non solo alla sua lampeggiante voce ma anche alla sua esuberante
intelligenza di uomo di spettacolo.
Presto infatti venne fuori il Giacomo Lauri volpi insegnante, (fu maestro di
canto di Corelli), nonché il Giacomo Lauri Volpi melomane e scrittore (scrisse
diversi testi, tra i quali il famoso Voci parallele)
La voce di Giacomo Lauri volpi, che inizialmente sembrava atta ad un repertorio
più belcantistico che romantico, presto cambiò faccia, e sebbene sia stata
sempre caratterizzata dal quel colore chiaro e lucente adattissimo ai registri
pucciniani, nella seconda metà della sua carriera si spessì nel colore e nel
volume, facendo vibrare i teatri con i suoi fulminanti acuti che si estendevano
fino al RE sovracuto. Legatissimo al teatro dell'opera di Roma ove tornava a
cantare frequentemente, divenne uno dei maggiori rappresentanti del repertorio
pucciniano, ma anche verista e verdiano, giungendo a cantare addirittura
l'Otello per 10 anni di seguito al Met di New York.
Scolpiti nella storia dell'opera, resteranno infatti i DO di petto della sua
manina, della Pira, del Faust, dei puritani, e non ultimo del suo scintillante
Vincerò, romanza che si fidò di cantare in tono davanti ad un pubblico in
delirio, alla beata età di 84 anni. Virtuoso di altri tempi, che diede un
contributo alla lirica sotto poliedrici vesti di insigne artista operistico.
Antonio Guida
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