“Ritorna vincitor”
Ritorna vincitor Franco Zeffirelli, con la sua Aida dopo una pluriennale assenza dal Teatro Massimo,
definito dallo stesso Maestro in una recente intervista “culla della sua carriera”.
Proprio in quel periodo, nel 1963 sottoscrisse per la Scala di Milano la regia di uno spettacolo straordinario,
colossale e sfarzoso, ripreso oggi a Palermo dopo un parziale necessario restauro.
Un allestimento d'altri tempi, completo, con dovizia di tutti i particolari previsti dalla partitura e che
rimarrà sicuramente nella storia internazionale del teatro lirico, in contrapposizione con le moderne
rappresentazioni, limitate all'essenziale o destinate alla rivoluzione scenografica ed epocale della
vicenda originale.
Luoghi molto realistici, scene, costumi tradizionali ed ampie raffigurazioni della grande
Lila de Nobili,
che danno la sensazione all'attonito spettatore di vivere proprio nell'ambiente egizio, in un mondo
lontano ed in particolar modo nel contesto dell'arcinota marcia trionfale che lascia tutti effettivamente
col fiato sospeso ed esultanti.
Un “
Gloria all'Egitto” ricchissimo d'effetti, con le lunghe trombe egizie,
la sfilata dei carri da guerra, i due bellissimi cavalli bianchi montati che attraversano l'intera scena,
i tesori, le statue degli dei, i balletti con le coreografie di
Vladimir Vassilev - esemplari la
sacerdotessa -
Luciana Savignano e Nubiano -
Josè Perez e particolarmente simpatica la
danza dei piccoli schiavi mori - su un palcoscenico che nonostante i circa 1200 mq appare piccolo
(circa 150 tra interpreti principali, ballerini e comparse).
Adeguatissimi poi gli effetti luminosi di
Marco Filibeck, con alternati giochi di luce ed ombre
che assecondano lo svolgersi degli eventi.
Composta dopo Don Carlo e prima del rifacimento di Simon Boccanegra, cui seguirono Otello e Falstaff,
Aida – di consistente tensione drammatica - segna il solco di separazione tra gli schemi del
vecchio melodramma e quello dell'ultimo ottocento, anche se contiene le cabalette tanto amate da
Verdi,
di cui non riesce a farne a meno, neanche in Otello, ma ricca di tante invenzioni musicali, come
l'esotismo che scaturisce dall'alternanza degli accordi minori e maggiori dell'oboe,
del flauto, dell'arpa e dai tremolii degli archi; oltre gli espressivi tre motivi principali ricorrenti,
dell'amore di
Aida, del sospetto di
Amneris, di quello religioso dei sacerdoti, d'ispirazione wagneriana
e le raffinate pagine dell'ultimo atto, come nel duetto
Aida-Radames “
O terra addio”.
La partitura musicale elaborata sul libretto di
Ghislanzoni, con cui Verdi collaborò alacremente in molte
revisioni, rivela la piena maturazione umana ed artistica del compositore che, soddisfatto, aveva esternato nel
contempo l'intenzione di non scrivere più opere. La prima fu rappresentata al Il Cairo alla vigilia
del natale 1871 e l'anno successivo alla Scala, ma senza i balletti che furono invece introdotti a Parigi
nel 1880.
Per il Cigno di Busseto, era però fondamentale che la musica prevalesse sul dramma e non viceversa, invece
in quest'edizione si è verificato esattamente il contrario: è prevalso il dramma nella sua
spettacolarità, non adeguatamente supportato dall'impianto musicale.
Il maestro
Maurizio Benini, noto direttore di fama internazionale, col gravoso compito di concertare e
dirigere una smisurata compagine orchestrale, completa in tutte le sezioni e costituita da circa 125 elementi
disposti tra il golfo mistico ed il palcoscenico, sembra aver dato all'opera una lettura prevalentemente
sinfonica, anche se lo spessore è questo, alleggerendo spesso la tensione drammatica; in talune circostanze
avremmo preferito tempi più sostenuti e colori più vivaci.
Pregevoli l'
ouverture dell'opera ed il preludio del secondo ed il quarto atto, in cui le ultime
note si ricongiungono a quelle del primo, come in un circuito chiuso. Più che eloquente il gran concertato
del termine del secondo atto in cui l'esecuzione è stata di alto livello drammatico ed emotivo, grazie
pure all'ottima preparazione del coro al completo diretto da
Andrea Faidutti, molto apprezzato anche
per gli accurati pianissimi nel rimanente spettacolo.
La notevole potenza delle voci soliste principali prevaleva sul gran concertato; erano quelle di
Amarilli Nizza,
Marco Berti e
Mariana Pentcheva, rispettivamente
Aida, Radames
ed
Amneris.
Tre artisti in carriera in campo internazionale sin dall'inizio degli anni novanta, interpreti del cast
principale nella prima ed in questa replica domenicale.
Amarilli Nizza - esperta nel titolo del ruolo, applaudita recentemente all'Arena di Verona -
ben nota al pubblico del Massimo per I Pagliacci di Leoncavallo ed il Trittico di Puccini, dotata appunto di
potenza e di sicurezza vocale non indifferente, soprattutto nel registro acuto di soprano lirico e
di un bel timbro. E' stata un'
Aida forse un po' troppo autorevole e talvolta impetuosa,
piuttosto che nobile, nostalgica e dimessa, anche se principessa etiope, con colore vocale poco chiaro
nella zona medio bassa, spesso di dizione incomprensibile e con talune asperità.
In “
Ritorna vincitor …
Numi pietà del mio soffrir” del primo
atto ed in “
O patria mia … O cieli azzurri “ del terzo
e
nei duetti con
Radames, Amneris ed
Amonastro, non si è certo risparmiata tratteggiando una buona interpretazione
dell'introspezione psicologica del personaggio.
Da
Marco Berti, tenore lirico esperto interprete anche dei ruoli verdiani, dal bel colore vocale e
dai pregevoli squilli, ci aspettavamo di più. In “
Se quel guerriero io fossi “,
aria tanto amata dagli appassionati del melodramma e cavallo di battaglia dei più grandi tenori di
tutti i tempi, non ha pienamente convinto - nonostante la chiarezza di fraseggio e la morbidezza vocale di
cui è dotato - per la resa generale non propriamente costante nella zona medio-grave: ha preferito l'esposizione interamente eroica, piuttosto che alternarla a quella romantica con i pianissimi previsti dalla scrittura. Un po' statico, ha risolto in ogni modo il resto dell'opera, nei duetti con
Aida ed
Amneris, giungendo sino all'ultimo atto senza particolari difficoltà.
Un po' meglio per
l'
Amneris della bulgara
Mariana Pentcheva, apprezzata Santuzza nell'ultima Cavalleria rusticana al Massimo ed anche lei esperta interprete verdiana, dall'ampia e sicura estensione di mediosoprano-contralto e di maggiore intensità interpretativa, anche se spesso di dizione poco chiara.
E' apparsa un po' fredda nella prima parte dell'opera, ma ha saputo manifestare l'antagonismo psicologico nei confronti di
Aida, con i chiari contrasti di personalità tra la malvagità ed il disarmo ed tra la superbia e la debolezza. Nel quarto atto, in “
Morir mi sento” con la nenia dei sacerdoti ed il saldo spessore orchestrale, ha delineato con chiarezza la propria desolazione nel perdere definitivamente
Radames.
Un trittico di artisti, in definitiva, di qualità che potrebbero superare con l'esperienza
talune insufficienze e diventare ottimi interpreti, come sarebbe stato più opportuno in
quest'occasione.
Più esperto il baritono messicano
Carlos Almaguer -
Amonasro, sconfitto re d'Etiopia,
padre di
Aida, dal bel timbro intenso, tipicamente verdiano e dall'ottima estensione, che nonostante
qualche asprezza ha delineato il personaggio con sicurezza nelle poche pagine dedicategli dal compositore.
Seducente il duetto con Aida “
Rivedrai le foreste imbalsamate”, con accurato
fraseggio e con piena ed espressiva autorevolezza in “
Non sei mia figlia, dei Faraoni sei
tu la schiava”, unitamenteall'ottimo drammatico ed intenso sostegno dell'orchestra.
Completavano dignitosamente il cast i due personaggi che rappresentano il potere politico e decisionale,
Paata Burchuladze – nelle vesti delgran sacerdote
Ramfis, famoso potente basso in cui
sono evidenti i segni del logorio della lunghissima carriera e con analogheproblematiche
Konstantin Gorny,
in sostituzione del previsto basso Andrea Papi in quelle del
Re.
In buona sostanza, uno spettacolo di cui sarebbe rimasto un bellissimo ricordo, se anche musicalmente fosse stato
pienamente appagante.
Tuttavia ci sono stati ampi consensi anche per gli interpreti al termine dei singoli atti ed alla conclusione
dell'opera, ma non sono stati quelli interminabili con le continue chiamate dei grandi successi, in un
teatro stracolmo in ogni ordine di posti, nella prima ed in questa replica, confermando altresì la
condivisione di un giudizio modesto, sia dalla critica sia dal pubblico, spesso non concordi in altre circostanze.
A cura di Gigi Scalici