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Vita da cantante lirico: intervista al mezzosoprano Elena Serra

Redazione Liricamente, 30/07/2021

In breve:
Vi proponiamo una nuova intervista della rubrica "Vite da cantanti al tempo del Covid" e continuiamo a raccontarvi come vivono i cantanti lirici dal febbraio del 2020, cioè dal primo lockdown causato dalla pandemia da Covid19. Il mese scorso abbiamo parlato con Gabriele Nani, baritono e oggi il nostro viaggio prosegue in compagnia del mezzosoprano Elena Serra che, oltre a essere un'ottima cantante, ha anche una vasta preparazione sia culturale sia musicale Inoltre, è una persona che ama molto sperimentare: sbirciando su Facebook ho scoperto che in questo periodo di pandemia, non potendo esercitare la professione in teatro, perchè la maggior parte dei teatri erano chiusi, ha fatto nuovi esperimenti per rilanciare un po' il mondo dell'opera, in modo diverso.


Vi proponiamo una nuova intervista della rubrica "Vite da cantanti al tempo del Covid" e continuiamo a raccontarvi come vivono i cantanti lirici dal febbraio del 2020, cioè dal primo lockdown causato dalla pandemia da Covid19. Il mese scorso abbiamo parlato con Gabriele Nani, baritono e oggi il nostro viaggio prosegue in compagnia del mezzosoprano Elena Serra che, oltre a essere un'ottima cantante, ha anche una vasta preparazione sia culturale sia musicale

Inoltre, è una persona che ama molto sperimentare: sbirciando su Facebook ho scoperto che in questo periodo di pandemia, non potendo esercitare la professione in teatro, perchè la maggior parte dei teatri erano chiusi, ha fatto nuovi esperimenti per rilanciare un po' il mondo dell'opera, in modo diverso.

La prima domanda di rito, Elena, è quella in cui ti chiedo di raccontarci brevemente in 30 secondi la tua esperienza, le tappe salienti della tua carriera.

Elena Serra - mezzosopranoIo ho iniziato da bambina iniziando a studiare violino. Poi, crescendo, i miei genitori hanno sentito che avevo la voce, avevo la natura che mi poteva permettere di studiare canto lirico: mio padre e mia madre erano un un basso e l'altra soprano. E da un basso e un soprano è nato un mezzo soprano!

Da lì ho iniziato a studiare canto lirico, ma all'epoca non avevo l'idea di fare la cantante d'opera. In realtàc ho iniziato quasi subito dopo 3-4 anni di studi perché comunque gli studi musicali sono molto lunghi e molto difficili da affrontare, ma quasi ancora adolescente ho iniziato a calcare i palcoscenici della mia città, di Milano.

All'epoca, come Gabriele ha detto, c'era il Teatro Rosetum in cui il musicologo Daniele Rubboli, con cui ogni tanto collaboro, aveva creato questo teatro d'opera per far fare gavetta ai giovani e per scoprire nuovi talenti. Infatti, ne ha scoperti tantissimi e in quel teatro sono nati i cantanti del calibro di Francesco Meli, Gazzale, Cavalletti. Abbiamo fatto tutti tanta gavetta su quel palcoscenico e anche in altri più piccoli, un po' com'era il Carro di Tespi una volta.

Qualche anno dopo, ho partecipato a un concorso per giovani alla Fondazione Arena di Verona, perché cercavano i ruoli di Aida per produzioni destinate ai ragazzi e lì ho vinto il ruolo di Amneris. Da lì, la mia carriera è partita e ho iniziato a lavorare nei grandi teatri italiani e fondazioni ed enti lirici come appunto l'Arena di Verona sia nella stagione invernale sianella stagione estiva, il San Carlo di Napoli, il Regio di Parma, tutto il Circuito Lombardo, il Pavarotti di Modena, il Teatro Verdi di Trieste, insomma ho girato un po' dappertutto e ho fatto anche qualche puntatina all'estero tipo a un Montecarlo. Questa è un po' la mia carriera, però principalmente devo dire che, rispetto a Gabriele che invece si è proiettato più all'estero, io ho lavorato tantissimo nei teatri italiani.

Benissimo Elena: la carriera è partita, però, poi a febbraio del 2020 ha subito un arresto. Per farci capire meglio, indicativamente, quante recite facevi prima del Covid e quanto eri impegnata su e giù per l'Italia, e anche all'estero?

Vi faccio un esempio: nel mio "anno lavorativo" avevo impegnato più o meno sul 50-60 serate. Per rendervi conto: solo con il Teatro Verdi di Trieste, nel 2019, io ho fatto trentuno recite di una sola opera, che era un'opera contemporanea intitolata "Il castello incantato" di Marco Taralli e avevamo fatto 31 recite nel 2019, con l'idea poi comunque che sarebbe stata portata in giro.

Poi avevo fatto altre collaborazioni, tra l'altro oltre che come cantante, come dicevi tu, avevo iniziato anche in un certo senso ad avere idee creative per promuovere l'opera lirica, quindi ad esempio col Teatro Coccia avevamo iniziato una collaborazione per fare del team building e, soprattutto, un escape room che poi era diventato escape theatre dedicato appunto al mondo dell'opera. Nell'escape room i ragazzi potevano entrare a risolvere degli enigmi sull'opera lirica, che magari era in corso nel teatro e quindi coinvolgere tantissimo gli adolescenti e i ragazzi anche più piccoli nella conoscenza dell'opera lirica. Ma poi, appunto, dal febbraio 2020 qualcosa si è rotto, in un certo senso.

Devo dire che io sono da un lato una persona che non riesce mai a stare ferma, quindi, al momento, siccome avevo due settimane libere, mi era capitata una supplenza di musica, a gennaio, e avevo fatto questa supplenza di musica in una scuola media che poi si è prolungata fino a giugno perchè la persona che insegnava musica non è rientrata. Quindi, da un lato sono stata fortunata, perché ho comunque lavorato, ho comunque portato un po' di musica ai giovani, con grande difficoltà. Ho scoperto un mondo nuovo insegnando.

Poi ho iniziato subito dopo ad insegnare anche in Accademie di musica e al Conservatorio di Milano, tramite un'associazione che si chiama CSPM, facevo lezioni per persone adulte che vogliono imparare a suonare uno strumento o imparare musica e quindi io alla sera facevo lezioni online di canto lirico a persone profane.

Da un lato, quindi, non mi sono mai fermata. In realtà, ne ho risentito, diciamoci la verità: io son vent'anni che lavoro in teatro, come Gabriele e, come lui, posso dire che il teatro è dentro di te. L'opera, il canto lirico non sono solo un lavoro, è la tua vita, è nel tuo DNA: sei un artista a tutto tondo, anche nella vita normale.

Spesso le persone mi vedono abbastanza naif perché ho sempre "quest'aurea dell'artista". Io all'inizio non avevo l'intenzione di fare la cantante, facevo la violinista, suonavo in orchestra. C'era sempre la musica, ma da ragazzina non aspiravo a diventare cantante lirici, ero addirittura proiettata verso tutto altro genere di musica.

Quando però poi salì su quelle assi del palcoscenico non ci riesci più a scendere e quindi, durante la crisi, il lockdown non hai calcato i palcoscenici, però comunque ti sei "operata" lo stesso per l'opera, in un certo senso, a favore dell'opera.
Però, sicuramente, come dici tu c'è una certa differenza tra calcare un palcoscenico e invece essere costretti a rimanere, diciamo, a casa o comunque fare lezioni anche online, perché mi hai detto che anche tu hai sperimentato il disagio e quella didattica a distanza che molti genitori hanno odiato profondamente, ma non solo i genitori, anche gli insegnanti, anche i ragazzi perché comunque il contatto umano, essendo "schermato", vincolato da uno schermo, fa perdere molto la realtà. Si vede solo quello che si vuol far vedere...

La cosa che mi avevano colpito tantissimo durante il lockdown era il silenzio assordante della città: non si sentiva nulla, sembrava di essere isolati da qualsiasi altra realtà e, da un lato, il fatto di poter portare qualcosa comunque ai giovani o a qualcuno in didattica distanza mi ha mantenuto legata un po' alla socialità, alla realtà.
Sicuramente noi noi artisti ci nutriamo del pubblico. Io ho fatto pochissima televisione, ho fatto alcune trasmissioni televisive, ma ne soffrivo perché lì hai una telecamera, non hai il pubblico diretto. Noi cantanti viviamo di energie che vengono dal pubblico, viviamo di questo, quindi non riusciamo a fare a meno di un pubblico, di quel pubblico che ti sostiene, alle volte ti critica.
Io ho sempre vissuto la critica come qualcosa di costruttivo, cercavo di prendere le cose che mi dicevano, per poi costruire una mia personalità che potesse essere capita dal pubblico, quindi il fatto di non avere questa interazione col pubblico mi ha veramente lasciata perplessa.

In più, questa pandemia ha portato via tante persone, anche persone che conoscevo, quindi ho capito che la chiusura era la scelta migliore, per la salute di tutti, e dobbiamo pensare che anche in passato sono successe delle cose del genere: se andiamo a vedere, ad esempio, all'epoca del Teatro di Shakespeare, c'è stata un'epidemia in Inghilterra, a Londra e i teatri di prosa sono stati chiusi per due anni. Dopo essere stati chiusi per due anni, il teatro di prosa è partito alla grande, quindi ho un certo ottimismo.

Mi introduco in questa frase che hai detto, perché vorrei proprio chiederti di parlarmi anche di queste idee un po' particolari. In questi giorni, purtroppo, abbiamo perso un grande regista che era anche, in un certo senso, un innovatore, sto parlando di Graham Vick: le sue regie sono sempre state regia abbastanza particolari, sicuramente non si possono definire "tradizionali".
Al teatro dell'opera non serviva il Covid per capire che era un po' in crisi, ce n'eravamo già accorti anche prima del Covid che qualcosa non andava: i teatri si stavano svuotando, il pubblico stava diminuendo, la cultura, nel nostro Paese, relativa alla musica colta, all'opera in particolare, è veramente scarsa e quindi questo mondo ha bisogno di rinnovarsi.
Graham Vick nelle sue regie d'opera proponeva degli spettacoli diversi e anche tu, secondo me, hai delle idee particolari: raccontacene un po'!

Il problema di fondo dell'opera lirica, soprattutto in Italia, è legato al fatto della poca comunicazione con il pubblico, con un pubblico che deve crescere, a partire dall'istruzione.
L'opera è nata in Italia, nel periodo barocco il melodramma è nato in Italia, poi si è sviluppato in altre realtà in Europa, all'estero, però la vera nascita è avvenuta qui, con la Camerata de' Bardi, e quindi è una nostra è una nostra ricchezza culturale e dovrebbe, teoricamente, essere insegnata già dall'inizio, coinvolgere già i giovani. Io che poi lavoro tanto con i giovani, coinvolgere i giovani nel riuscire a comprendere questo tipo di arte che spesso invece viene bistrattata, soprattutto in Italia.

Spesso veniamo considerati come una sorta di "fenomeno": ci sono amici amici che mi dicono: "Mah, prova a farmi sentire come canti" come se fossi un fenomeno. Io poi sono timida, quindi faccio veramente fatica a pensare che ciò che faccio sia "straordinario".
Bisognerebbe già dall'istruzione iniziare a pensare a un'idea diversa della storia dell'arte, della storia della musica tale per cui chi fa questa professione non è un'eccezione, ma qualcosa di ordinario.

Secondo, sicuramente bisognerebbe pubblicizzare di più l'opera lirica: ci sono grandi cantanti internazionali come possono essere Netrebko, Kaufmann, Garanca che all'estero, grazie alle case discografiche, fanno dei veri e propri video musicali come se fossero Jennifer Lopez o i grandi cantanti di musica pop. Da noi questo non succede. Secondo me, in Italia manca l' "imprenditorialità della cultura".

Vi riporto il contenuto della mia tesi di laurea sull'imprenditorialità culturale prendendo in esame il periodo tra il 1898 il 1902 alla Scala di Milano. Nel 1897 il Consiglio Comunale di Milano, con una deliberazione che resterà famosa negli annali di Milano, respingeva qualsiasi concetto di concorso municipale e così provocava la chiusura del teatro e delle annesse scuole di canto e di ballo, recando un gravissimo danno alla fama della città e a tutti gli interessi artistici ed economici che in una vita gloriosa e più che secolare si sono aggruppati intorno alla Scala. Tra l'altro, sul teatro, sui portoni del teatro, era stata affissa una scritta, un messaggio anonimo che diceva "Chiuso per la morte del sentimento dell'arte, del decoro cittadino e del buon senso". Poi, grazie alla grande imprenditorialità di uomini, come ad esempio Visconti di Modrone, che hanno dato sovvenzioni, è arrivato un grande maestro come Toscanini, hanno riformato totalmente in Italia il teatro dell'opera, perché dovete pensare che il teatro dell'opera una volta era luogo di gioco d'azzardo, si mangiava, era, diciamo così, quello che noi adesso chiamiamo "intrattenimento". E' questa la grande differenza. Invece, grazie a Toscanini, è diventata cultura, e a questi grandi personaggi, è diventata quella che è la nostra cultura, poi, vabbè, all'epoca c'era tutta un'altra visione della musica, dovete pensare che le opere liriche, i cori delle opere liriche sono quelli che hanno, in un certo senso, unito le masse per creare l'unità d'Italia, se andiamo a pensare a questa cosa, quindi tutti cantavano le arie dell'opera o i grandi cori.

Purtroppo, al giorno d'oggi, c'è una situazione completamente diversa, quindi, dobbiamo andare, in un certo senso, a far conoscere noi al pubblico che cosa veramente possiamo fare. Abbiamo la fortuna adesso che le tecnologie stanno migliorando. Taluni vedono le tecnologie come qualcosa di negativo, ma se iniziassimo ad usare le tecnologie in modo positivo nella scenografia, nella possibilità di utilizzare degli "'escamotage tecnologici" che permettano ai giovani di essere accattivati dal nostro mondo, che sta diventando sempre un po' più di nicchia.

Ci siamo un po' includendo, stiamo diventando, quasi, "pezzi da museo". La pandemia ci deve dare quindi una spinta in più per capire che in questo momento l'opera lirica deve poter uscire dal teatro e andare a cercare le persone per far capire persone chi siano veramente, che cosa facciamo.

Gli amici "profani" dicevano: "sì, ma no, l'opera lirica è barbosa, non ne ho voglia, mi addormento", poi li invitavo a dei miei concerti o spiegavo loro e trame, i meccanismi teatrali ed effettivamente dicevano: "non pensavamo che fosse una cosa del genere, non pensavamo che tu fossi in grado di fare questo e non pensavamo che fosse un certo tipo di spettacolo". .

Spesso, a priori, la cultura è considerata come qualcosa di barboso, ma non è così: la cultura è qualcosa di arricchente, ci arricchisce: ci arricchisce in intelligenza, ci arricchisce di emozioni. Io dico sempre che noi artisti siamo persone che regalano emozioni, curiamo un po' le anime delle persone perché diamo la possibilità di evadere dal loro mondo e di vedere qualche cosa di diverso. E' un po come viaggiare, stando seduti, no?

Guarda, parlavo proprio con un'insegnante l'altro giorno che mi diceva che aveva ospitato qui a Mantova dei suoi amici ungheresi. Nella visita alla città e ai borghi nei dintorni, a un certo punto hanno esclamato: "Adesso capiamo perché voi italiani amate il "bello" e ricercate il bello: perché siete ricchi circondati dal bello", perché l'Italia è la Patria proprio di questi paesaggi straordinari, che hanno ispirato i poeti, Dante (di cui festeggiamo quest'anno i 700 ann dalla morte) è nostro! Noi siamo circondati dal bello, ma il problema è che ci accontentiamo di quel brutto che ci viene proposto nei contesti degli schermi: la televisione, pc, smartphone, tablet, oggi sembra che il bello venga da internet, no?

Focalizziamo il nostro sguardo su qualcosa di piccolo e non riusciamo invece a vedere quanto c'è di bello solo alzando lo sguardo e allargando i nostri orizzonti.

Questo discorso vale anche per i cantanti, che devono essere un po' più aperti e meno chiusi nel proprio guscio.

Durante la pandemia, tutti in casa, si facevano grandi discorsi: "dobbiamo associarci perché dobbiamo tutelare i nostri diritti", poi passato il giorno, passato il Santo, passata la festa, come si suol dire, chi ha ricominciato a lavorare, perché comunque oggettivamente nei mesi estivi, grazie al cielo, c'è la possibilità di fare spettacoli all'aperto, tutte quelle belle idee che venivano dette qualche mese fa, sono state insabbiate.

Si è ritornati a un grande individualismo e non si è concluso nulla. E' vero che il cantante è "solista", però in un certo senso anche la mentalità dei cantanti dovrebbe cambiare, proprio perché comunque il solista dovrebbe capire che non fa un lavoro solo per se stesso, ma lo fa per la comunità e anche per gli altri cantanti suoi colleghi.

Esatto, quello un po' che dicevo prima, no? Se andiamo a vedere nel passato, le grandi masse hanno creato rivoluzioni, hanno creato Paesi, erano tante persone insieme. Purtroppo al giorno d'oggi c'è una grande malattia che è l'egoismo e il narcisismo, legate un po' a tutte le persone che ci sono intorno, quindi appena un attimo la cosa riparte, quel problema, che da un lato è grande, perché dovrebbe regolamentare una professione, magicamente sparisce.

Quella del cantante lirico è una professione che, fino agli anni ottanta e novanta, garantiva introiti interessanti: i grandi cantanti solisti prendevano cifre molto elevate. Ricollegandomi all'intervista di Gabriele, adesso i teatri fanno molta fatica a pagare puntuali: da un lato ci sono pochissime sovvenzioni dallo Stato e ci sono pochissimi imprenditori che vogliono investire nella cultura, quindi c'è questa questa sorta di "solitudine".

Per i cantanti la "solitudine" è una triste compagna di viaggio, perchè si viaggia tanto da soli. Spesso succede che nelle compagnie si verifica ciò che chiamo "sindrome da gita scolastica" perché ci uniamo talmente tanto, come se fossimo in gita, e poi dopo alla fine, quando finisce la produzione, ognuno va per la sua strada e finisce tutto così.

Invece, da un lato, bisognerebbe riflettere sul fatto che queste cose, come una pandemia, potrebbero ricapitare, potrebbero esserci tantissimi altri problemi e ad esempio io che son vent'anni che faccio questo lavoro, mi ritrovo in una condizione in cui i primi anni era come un boom e poi piano piano ho visto declinare il tutto. I teatri fanno fatica a pagarti, ci mettono magari mesi o anni, e quindi tu ti devi creare una sorta di risparmio per riuscire poi a "parare" le prossime produzioni.

Allo stesso tempo, ti ritrovi in una situazione che dici: "Ce l'avrò ancora il lavoro?" "Ci sarà nei prossimi mesi? Come saranno? Ci sarà ancora la possibilità di lavorare?" Sono 20 anni che vivo in questo modo, però non ho mai mollato. Non ho mai mollato perché ho sempre creduto nella forza di quest'arte, e da un lato anche nella possibilità di una "riforma".

Durante la pandemia ho visto muoversi tante cose in materia. Noi siamo dei liberi professionisti, a contratto, ma senza troppe regolamentazioni.

Esistono, però, problemi comuni a tutt:; pochi fondi, poche occasioni "creative", soprattutto adesso con la pandemia...
Si è un po' ripartiti in questa stagione estiva, però bisogna pensare che si è partiti con "il freno a mano tirato", quindi si sta andando con grande cautela anche nei teatri: ci sono contratti da recuperare che sono stati persi a causa appunto di tutti i mesi di lowdown, quindi molte persone sono rimaste a casa e magari aspettavano nuovi contratti, dovevano fare nuove nuove audizioni, io ad esempio stavo facendo nuove audizioni nel periodo antecedente il lockdown, e mi sono ritrovata praticamente a casa dicendo: "Adesso?"

Sul momento, non te ne rendi conto e pensavi: "Magari sono solo due settimane, un mese, e poi riparte tutto", invece è un anno e mezzo che stiamo andando avanti in questa situazione e stiamo cercando tutti delle soluzioni.

Certo, questo individualismo è un po' una sorta di "malattia" del nostro lavoro.

Il nostro lavoro deve essere quidi regolamentato legislativamente e giuridicamente. Secondo me, una cosa importante che si potrebbe fare, è creare delle cooperative di cantanti.

E' vero che esistono le agenzie, che peraltro in questo momento si stanno muovendo, perchè l'Ariax, l'associazione di tutte le agenzie italiane, si sta muovendo per cercare di regolamentare legislativamente e giuridicamente la loro identità di agenzia. Però esistono i "monopoli" di alcune agenzie che fanno lavorare di più rispetto ad altre e si accordano con i teatri, per cui molti cantanti, anche se sono bravi e capaci, non vengono scritturati perchè non appartengono a queste agenzie.

Con vent'anni di lavoro alle spalle, mi ritrovo in quella fascia d'età dove non sei più giovanissimo, e quindi da un lato non ti possono pagare poco, come uno stagista, e da un altro lato, poichè magari non sei il "grandissimo nome" che attira pubblico, non vieni scritturato.

I "grandi", che veramente guadagano bene, sono veramente pochissimi, e sono coloro che comunque in questo periodo sono riusciti a lavorare lo stesso con le opere streaming... c'è solo che l'opera in streaming non l'hanno potuta fare tutti i teatri!

Rispetto alle receti e ai tempi che può avere una produzione normale, lo streaming è tutt'altra cosa, per cui naturalmente hanno lavorato meno persone, si è ridotto un po' tutto e solo pochi hanno potuto diciamo in un certo senso beneficiare di questa forma così di teatro "aperto" che comunque probabilmente non è la soluzione ai problemi del teatro dell'opera.

Poi c'è un'altra cosa: io ho fatto una sola produzione in streaming nel novembre del 2020 con il Teatro Coccia, e registrando non hai il contatto con le persone.

Inoltre, sono poche le persone a cui piace veramente e vanno a vedere queste produzioni in streaming.

 In un certo senso, noi dobbiamo raggiungere le masse che non conoscono il nostro ambiente, che non sanno esattamente come si svolge il nostro lavoro.

Addirittura mi capita che parenti e amici non lo considerino nemmeno un lavoro, in molti dicono: "Tu non stai lavorando, quello non è un lavoro! Cioè, tu non sai cosa vuol dire stare ufficio 8 ore?" ... e loro non sanno cosa vuol dire stare a fare le prove dalle 9 della mattina all'una e mezza di sera all'Arena di Verona.

Poichè la gente non conosce il nostro lavoro, siamo classificati come dei "privilegiati", come se non stessimo facendo un lavoro, ma stessimo facendo un hobby.

Noi abbiamo studiato anni, anni, anni per riuscire ad arrivare a quella perfezione, per riuscire a fare quel suono preciso senza il correttivo della microfonazione...

Ma poi al di là del canto lirico, che, sicuramente, già solo per lo studio della tecnica del canto ci impieghi una vita per imparare, c'è poi tutta la parte musicale, la cultura musicale, ma anche la cultura "melodrammatica", perché le persone che si approcciano all'opera devono avere un bagaglio culturale di un certo tipo, non ci si improvvisa cantanti, si deve lavorare a fianco di persone che ti danno delle indicazioni, da cui sicuramente puoi imparare, ma devi già partire anche tu con un bagaglio culturale.
Poi da un lato, queste piccole realtà a cui io ho partecipato... Che fine faranno? Ecco, una delle domande che ti volevo fare: a Milano, dove sono finiti teatri dove... il Teatro delle Erbe, ti ricordi che avevamo fatto che noi abbiamo lavorato insieme in queste piccole realtà? Piccoli concerti, i teatri di quartiere, prima ho visto ora la foto della Traviata che abbiamo fatto insieme... Erano tutte anche piccole realtà che ci hanno fatto crescere tanto.

Tra l'altro non erano proprio "piccoli teatri"... ieri sera ci pensavo e dicevo: "io ha debuttato il ruolo di Carmen al Teatro Smeraldo di Milano." Il teatro Smeraldo di Milano non c'è più ... Era un teatro che portava alle persone non solo l'opera. C'era un'associazione che partendo dallo Smeraldo, proponeva le produzioni d'opera in tutti i teatri: c'erano il Sociale di La Spezia, a Varese, andavamo a Venaria Reale, facevamo proprio tournée di opere in cui ti facevi le ossa e imparavi l'opera bene per poi affrontare il grande teatro e mi ricordo appunto che io avevo debuttato Carmen al Teatro Smeraldo, che non c'è più: è rimasto un piccolo palco all'interno di Eataly.

Però ti piange il cuore, perché era un teatro storico di Milano. Lì, fin da bambina, andavo con le scuole a vedere le rappresentazioni per i ragazzi, poi, crescendo, sono andata a vedere il musical, l'opera, spettacoli di tutti i generi, il balletto...

Oggi è scomparso e molte di queste realtà piano, piano sono morte, perché da un lato avevano poche sovvenzioni prima, erano in un certo senso auto-prodotte e cercavano dei piccoli sponsor..., con la pandemia, ancora peggio.

Far morire queste realtà è perdere un po' di storia della città ed è perdere delle occasioni, perchè c'era la possibilità di vedere più cose.
La città di Milano ti dava la possibilità di scegliere la sera cosa volevi andare a vedere: dal balletto, al sinfonico, l'opera, il musical ed era un modo per offrire la cultura un po' per tutte le tasche perché magari alla Scala... c'è chi ci può andare sempre, ma non è che, diciamo, sia così accessibile proprio anche economicamente parlando... Magari alla Scala ci vai una volta, io sono una che poi ci va una volta all'anno, una volta ogni due anni per le persone un po' profane.

Erano l'occasione per far avvicinare amici "profani": Spesso si organizzavano le presentazioni delle opere che poi avrebbero fatto alla Scala, in modo da invogliare le persone poi ad andare a prendere il biglietto al teatro più importante della città. Questi mini concerti, in cui con pochi cantanti si presentava la trama dell'opera, erano delle realtà fondamentali sia per un cantante giovane o comunque un musicista che ha bisogno di crearsi, di farsi le spalle, sia per i teatri più importanti perchè "portavano pubblico".

La mia insegnante, la signora Casoni, che ha cantato alla Scala e in grandi teatri, mi diceva sempre: "Ai miei tempi, si arrivava alla Scala e nei grandi teatri con i capelli bianchi". Adesso non è più così. Botto, diceva sempre la mia insegnante, diceva: "se vuoi arrivare alla Scala, a fare le grandi le grandi parti, devi avere i capelli bianchi", cioè nel senso che devi avere una gavetta e un bagaglio tuo personale grande ,fatto prima passando appunto dalla gavetta, poi magari teatri più piccoli, ed effettivamente c'è da dire che il teatro insegna tantissimo.

Quando stai su un palcoscenico a lavorare con un direttore d'orchestra, con un regista e con i colleghi, impari a interagire con loro per creare un'energia, una magia particolare che ti permette poi di entusiasmare chi ti viene a vedere.

In queste realtà piccole e medie, di cui abbiamo parlato prima, non mancava nulla perché c'era anche l'orchestra, c'era il regista, quindi era una palestra non solo per i cantanti, era una palestra per tutti, anche per il musicista che vuole suonare in orchestra.

Si, è vero, io per prima ho lavorato tanti anni nelle orchestre giovanili come violinista e ciò mi ha aiutato come bagaglio a capire bene il gesto del direttore d'orchestra, quindi quando sono sul palcoscenico, anche se sembra che non guardi, io con la coda dell'occhio riesco a vedere il primo violino, perchè il primo violino aiuta tantissimo e il direttore d'orchestra, che sono quelli che fanno "muovere" il tutto.

Eì una grande "palestra musicale" e è un bene anche per il pubblico, perchè ti garantisco che le persone che venivano ad assistere questi spettacoli erano molto contente perché comunque nel teatro un po' più piccolo, hai la possibilità di vedere più da vicino, puoi interagire con i cantanti e i musicisti, all'uscita dal teatro, ed è tutto molto più familiare.

Io, poi, che ho vissuto anche nei grandi teatri, posso dire che secondo me bisogna cercare di ritornare a colloquiare col pubblico perchè è importantissimo.

Secondo me, è importantissima anche la pubblicità utilizzando anche i nuovi media: i social, la televisione, etc per trovare degli sponsor.

Io ho un'allieva produttrice cinematografica e mi vengono in mente appunto i produttori cinematografici che vanno alla ricerca degli sponsor per poi pagare il film: serve un'idea imprenditoriale in questa direzione, utilizzando i linguaggi che capiscano i giovani, con foto, video di 20 secondi per attrarre nuovo pubblico. Bisogna trovare un nuovo linguaggio di comunicazione.

E' difficile farlo capire a chi lavora all'interno del teatro, ed è difficile anche con i colleghi legati alla "tradizione".

All'estero poi io ho notato che grandi brands, come la Rolex, finanzia tantissimo concerti di cantanti, e se andiamo a vedere sono tutti lì con un Rolex.

Ho visto l'ultimo video di Aida Aida Garifullina che sembrava proprio un video musicale con molteplici effetti.

Noi eccelliamo anche nella moda, si presterebbe moltissimo il binomio fashion-opera lirica, in collaborazione con le grandi firme.

I più grandi artisti (personalmente considero artisti i nostri stilisti, perché stilista per me è troppo poco: non sono stilisti, sono artisti) sono delle eccellenze. Eccelliamo in tanti settori, ma non riusciamo a fare "imprese insieme".

L'Italia, oltre che essere la patria della bellezza, della cultura, è anche la patria del lusso.

Un lusso, che, però, grazie all'opera, deve tornare ad essere a portata di tanti!

Allora Elena ti ringrazio per questo scambio, per questo confronto, per le idee che ci hai raccontato, che sicuramente sono idee che dovrebbero essere ascoltate e "digerite" per provare a capire come riuscire a metterle in pratica, per passare dalle parole ai fatti concreti. Ti ringraziamo e speriamo di rivederti presto i prossimi appuntamenti, ci dici qualcosa che hai in previsione?

Per parlare appunto di cose nuove, sto creando una sorta di evento che poi porterò sul lago di Garda: è un concerto dove ci sono solo io. Hanno chiesto me. Ci sono solo io, ma sto cercando con dei service particolari, quindi usando la tecnologia, di creare un concerto particolare in cui ho ideato una storia con le arie d'opera e anche musica da film in cui appunto presento il mio modo di vedere il nostro mondo. E' una favola e utilizzerò nuove tecnologie per realizzarla. Vediamo se riusciamo a creare questo progetto che poi può essere portato in giro. Allo stesso tempo ho appena finito a Sarzana un'opera che è "L'occasione fa il ladro" con con la regia di Davide Garattini: con poche cose siamo arrivati a raggiungere il pubblico, perché cerchiamo di andare a prendere il pubblico, portandogli l'opera, e probabilmente ci saranno altri appuntamenti.

Benissimo ti ringrazio ancora, speriamo di rivederci presto, un abbraccione.

Grazie a te Gloria e grazie agli amici di Liricamente. Ciao.

Ciao.

 
 
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