Un bruciante colpo allo stomaco nell'aprirsi del sipario su questa "Traviata"
in forma semiscenica prodotta dal Teatro La Fenice di Venezia: la protagonista,
Violetta, stesa su un letto d'ospedale, con respiratore addosso, circondata da
sanitari con mascherina, è un'immagine purtroppo molto attuale e realistica in
questi tristi tempi pandemici che rendono quasi deserto il meraviglioso teatro
veneziano, con pubblico ridotto per le disposizioni anticovid, ma comunque
sempre molto presente e caloroso.
Tutta la regia di Cristophe Gayral è incentrata sull'incomunicabilità ed il
distanziamento fisico e morale che colpisce gli slanci del "giovanile ardore" di
Alfredo o la sublime passione di Violetta, emarginata fisicamente e moralmente.
Il direttore Stefano Ranzani sottolinea, con pennellate delicate e pianissimi
ricercati, la peculiarità intimista e profonda della partitura verdiana, ben
assecondato e seguito dall'Orchestra del Teatro La Fenice. Soprattutto da lodare
sonon gli archi, che presentano una grande maestria nell'affrontare la lettura
delicata e sofferta del direttore.
Nel ruolo della protagonista il soprano Claudia Pavone. Voce omogenea in ogni
registro del soprano lirico leggero, sembra un po' soffrire l'importanza del
ruolo, arrivando alla fine della famosa aria che chiude il primo atto "E'
strano" ad una emissione forzata e subito troncata del mi bemolle di tradizione
nel gelo della sala. Si riscatta subito dopo con un secondo atto buono, donando
un "Dite alla giovane" tutto a fior di labbra in un pianissimo magico ed un
"Amami Alfredo" intenso in cui esprime tutto in un crescendo emotivo e tecnico
molto ben congegnato. Ottiene un'ovazione a scena aperta nell' "Addio del
passato", veramente da manuale: i chiaroscuri sono valorizzati da un fraseggio
personalissimo e ben eseguito, che dona a chi ascolta brividi autentici e
commossi.
Il
suo innamorato Alfredo è interpretato con voce molto ben emessa ed impeto
intepretativo generoso dal tenore genovese Matteo Lippi. La voce è tecnicamente
generosa e fa pensare a futuri ruoli più robusti. Personalmente gradirei più
scavo e studio del personaggio ed un interprete più attento.
Antagonista della protagonista e deus ex machina di tutta la vicenda è il
baritono pisano Alessandro Luongo, già raffinato Duca di Nottingham
nel
precedente Roberto Devereux e qui interprete del ruolo di Giorgio Germont.
L'artista è ben presente e centrato, la voce risulta un po' leggera per il
ruolo verdiano, ma lodevole è lo scavo del personaggio e il fraseggio ben svolto
che lo porta ad assecondare nel pianissimo il soprano nei passi del duetto e
nella sua romanza "Di Provenza" lo rende molto interessante nel trovare sonorità
nuove e pregnanti.
Non ho trovato vocalmente all'altezza dei ruoli il mezzosoprano Elisabetta
Martorana (Flora) e il soprano Sabrina Vianello (Annina) con voci insicure e
malferme, a volte tremolanti e spoggiate. Molto meglio, musicali e sicuri sono
stati i gli interpreti dei ruoli di comprimariato maschili: un presente ed
incisivo Enrico Iviglia (Gastone), un ottimo e musicale
Armando Gabba (Duphol
di lusso), eccellente e sonoro il Grenvil di Mattia Denti e sicuro e molto
simpatico in scena il Marchese di Matteo Ferrara.
Musicali e presenti nei momenti a loro richiesti sono stati Safa Korkmaz
(Giuseppe), Giampaolo Baldin (Un domestico di Flora) e
Nicola Nalesso (Un
commissario).
Faccio i compilmenti alla direzione artistica perchè ho apprezzato molto il
fatto che abbia scelto tutti artisti italiani!
Il Coro del Teatro La Fenice ben diretto dal maestro Claudio Marino Moretti, pur
in punizione dietro un tulle che lo nasconde agli spettatori, risponde con
omogeinità e forza vocale nei momenti di riferimento come l'inizio del secondo
quadro (Zingarelle e Matador) del secondo atto o la fine del primo (Si ridesta
in ciel l'aurora) ed accompagnando e sostenendo i solisti con un pedale
delicatissimo nei concertati.
Le luci, a cura del light designer Fabio Barettin, scolpiscono e delineano in
modo originale la scena e i volti dei personaggi.
Personalmente ho trovato di cattivo gusto i tre mimi corpulenti che interpretano
sia le zingarelle, con movimenti anche volgari ed allusivi, sia i matadores:
potevamo farne benissimo senza.
Lo spettacolo ha un'aria un po' stropicciata, ma dona comunque emozioni ed è
stato premiato dal pubblico presente.
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