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Recensione dell'opera lirica Les vepres sicilianes Giuseppe Verdi Teatro Opera Roma

William Fratti, 10/01/2020

In breve:
Roma - Recensione dell'opera lirica Les vepres sicilianes di Giuseppe Verdi in scena all'inaugurazione della stagione 2019/2020 del Teatro dell'Opera di Roma il 15 dicembre 2019.


Il Teatro dell'Opera di Roma inaugura in grande stile la Stagione 2019-20.

Valentina Carrasco mette in scena uno spettacolo dalle tinte forti, che - attraverso la ribellione scoppiata a Palermo all'ora dei vespri il Lunedì dell'Angelo del 1282 - è una denuncia contro l'oppressione dei diritti umani, dei diritti civili e soprattutto dei diritti delle donne.

Nelle opere di Giuseppe Verdi la caratterizzazione psicologica dei personaggi prevale sempre sulla vicenda e ne Les vêpres siciliennes la regista è riuscita ad estrapolare messaggi e significati che non hanno tempo e luogo, ma che sono insiti nella crudele natura umana, fatta di abusi e soprusi. Dunque le angherie di uomini su altri uomini che creano radicalismo; la violenza degli uomini sulle donne che crea dolore; ma dal quale può nascere il bene e il bene può essere in grado di mitigare la spietatezza; ciononostante l'estremismo non perdona e il circolo vizioso dei soprusi non si può mai interrompere.

Le dure scene di una ipotetica ricostruzione - che non riesce ad avere fine nell'interminabile cerchio della distruzione - firmate da Richard Peduzzi sono il contenitore perfetto di questo spettacolo che trova il suo apice nelle coreografie dei ballabili di terzo atto, ideate dalla stessa Carrasco e da Massimiliano Volpini. Ottimo il disegno luci di Peter van Praet; efficaci i costumi atemporali di Luis F. Carvalho.

Daniele Gatti, alla guida della strepitosa Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma, debutta in questo titolo particolarmente complesso, forte della sua indiscutibile esperienza sia con il repertorio francese, sia con quello verdiano. Il direttore riesce così a rendere i cromatismi maestosi del grand-opéra, come pure gli accenti vigorosi del Cigno di Busseto, mantenendosi molto compatto con buca e palcoscenico, guidando la numerosa compagine di artisti nel creare la miracolosa magia del teatro che emoziona.

Roberta Mantegna, come già riscontrato in precedenti occasioni, possiede una preziosa musicalità che si esprime particolarmente nei centri vellutati, ma continua ad avere seri problemi con gli acuti. Oltre a ciò, nel difficile ruolo di Hélène, si nota anche un certo inacidirsi del timbro nelle note basse; infine non riesce a superare l'imponenza del coro nei concertati.

John Osborn è un Henri magnifico, indubbiamente molto discosto da ciò che tradizionalmente ci si aspetta dal canto verdiano, ma presumibilmente con una vocalità molto vicina a quella del primo interprete del ruolo in francese. Il tenore americano, universalmente riconosciuto come un grande esperto rossiniano e del grand-opéra, si mantiene sempre limpido e omogeneo, non ingrossa e non scurisce i suoni, è saldo, sicuro e perfettamente a suo agio lungo tutta la lunghissima parte che, del resto, è molto più acuta di tanti altri ruoli del compositore delle Roncole.

Roberto Frontali è un egregio Montfort e Michele Pertusi è un encomiabile Procida. I due veterani verdiani si esprimono con una morbidezza, un fraseggio e un uso della parola scenica davvero superlativi; la loro performance è una lezione di canto.

Efficaci i ruoli di contorno con il Danieli di Francesco Pittari, il Béthune di Dario Russo, il Vaudemont di Andrii Ganchuk, la Ninetta di Irida Dragoti, il Thibault di Saverio Fiore, il Mainfroid di Daniele Centra e il Robert di Alessio Verna.

Eccellente il Coro del Teatro dell'Opera di Roma preparato da Roberto Gabbiani; pure bravissimi il Corpo di Ballo, gli allievi della Scuola di Danza e i mimi attori.

Entusiastiche e meritatissime ovazioni per tutti gli interpreti al termine dello spettacolo.

 
 
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