Il Teatro alla Scala di Milano, universalmente considerato il vero tempio
della lirica, uno dei pochi teatri al mondo ad avere un'importante data fissa
per l'inaugurazione da ben oltre mezzo secolo, torna prepotentemente in TV con
il record di ascolti della diretta televisiva. Il titolo di cassetta, l'audience
che ruota attorno alla star protagonista, una campagna marketing funzionale sono
stati indubbiamente gli ingredienti principali di questo successo mediatico.
Inoltre il suono è decisamente migliore rispetto a quello della diretta
radiofonica e ciò rende particolarmente felici anche i melomani più accaniti.
Riccardo Chailly prosegue la sua lettura dei capolavori di
Giacomo Puccini - dopo Turandot col finale di
Luciano Berio, La fanciulla del West con
l'orchestrazione originale, Madama Butterfly e Manon
Lescaut nelle prime versioni - con Tosca, presentata
nell'edizione critica a cura di Roger Parker. Il direttore
milanese, pur imponendosi come riferimento per l'interpretazione pucciniana,
alla guida di un'orchestra strabiliante e di un cast vocale di altissimo
livello, non riesce a commuovere come nelle precedenti occasioni, risultando
straordinario soltanto nella prima parte del duetto di secondo atto tra
Tosca e Scarpia e nella bellissima introduzione di "E lucevan
le stelle" dopo la canzone del pastorello. Nelle altre parti dell'opera
sembra forse troppo attento ad una certa precisione meccanica, piuttosto che
improntato al sentimento, ma ciò non pregiudica certamente la sua levatura.
Anna Netrebko è indiscutibilmente una delle migliori
cantanti del pianeta, dotata di una morbidezza e una facilità su tutta la gamma
che non hanno eguali. Acuti comodi e agevoli, centri pieni e corposi, gravi
saldi e voluminosi, piani ottimamente timbrati, forti ben proporzionati, il
tutto arricchito da un bel legato, un fraseggio interessante ma forse un po'
misurato, una buona dizione eccetto per le consonanti doppie. Nonostante tutto,
la sua Tosca non risulta così emozionante come ci si aspetterebbe e la
sua vocalità è preferibile in altro repertorio, tra cui il drammatico verdiano.
La affianca il Cavaradossi di Francesco Meli,
anch'egli da considerarsi uno dei migliori dell'intero panorama internazionale.
La sua interpretazione è sicuramente vincente in termini di colori e sfumature,
ma il suo bel timbro e il suo buon uso della parola scenica si sposano meglio
coi ruoli cantabili verdiani.
Lo stesso vale per Luca Salsi. Il suo Scarpia è
cantato in maniera eccelsa, con una resa del personaggio - attraverso la voce -
davvero intensa e avvincente, ma come gli altri protagonisti, pur essendo tutti
al top, tutti numeri uno, nessuno di loro è in grado di dare quel valore
aggiunto da risultare i migliori di sempre, ciò che invece sarebbe potuto
accadere con un titolo diverso, ad esempio un Macbeth.
Ottimi anche i ruoli di contorno, soprattutto il Sagrestano elegante di Alfonso
Antoniozzi, con una voce che corre e predomina, e lo Spoletta di Carlo Bosi, che
è sempre una solida certezza. Più che adeguati anche l'Angelotti di Carlo
Cigni, lo Sciarrone di Giulio Mastrototaro, il
Carceriere di Ernesto Panariello e il Pastore di
Gianluigi Sartori.
Lo spettacolo trionfante di Davide Livermore con le
grandiose scenografie di Giò Forma è, senza ombra di dubbio,
creato per la televisione - in cui risulta addirittura migliore che dal vivo -
ed è un chiaro e meritato omaggio alla macchina teatrale della Scala - e proprio
per questo ci si poteva risparmiare una pausa.
L'idea di fondo è pressoché quella originale di Puccini, eccetto per alcuni
piccoli momenti - come il finale di secondo atto - che fanno risultare l'azione
piuttosto vuota; inoltre l'uso della controfigura non crea alcun coup-de-théâtre
e appare superflua. Il lavoro di regia, come di consueto, è perfetto
nell'equilibrio di movimenti, gestualità, ingressi e uscite, scene e
controscene, e i personaggi sono molto ben disegnati. Il mastodontico
allestimento è piuttosto piacevole in primo atto, anche se un po' troppo
movimentato; è superlativo in secondo atto; meno efficace in terzo, dove si
abbandona il realismo dei precedenti a favore di un evocativo che lascia il
tempo che trova.
I costumi di Gianluca Falaschi, azzeccatissimi per
il coro, i figuranti e i comprimari, cadono sui protagonisti, soprattutto quelli
di dubbio gusto di Tosca, quello di Scarpia troppo simile ai suoi scagnozzi e la
discutibile parrucca di Cavaradossi. Ottime le luci di Antonio
Castro e le proiezioni di D-wok.
Tutto sommato si tratta di una vera Tosca, di una vera Prima della Scala,
dove ogni artista si merita il plauso dell'eccellenza, ma il risultato
complessivo non ha portato ad alcun entusiasmo. Purtroppo talvolta la perfezione
non è sinonimo di sentimento.
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