Nel corso della sua lunga e incontrastata carriera Giuseppe Verdi
ha spesso rimesso mano ai suoi lavori, aggiungendo, togliendo,
modificando, talvolta anche poche note o poche parole.
Don Carlo è indubbiamente una di quelle più rimaneggiate e
Robert Carsen, nel mettere in scena la versione milanese in
quattro atti, approfitta della coesione e della simmetria drammaturgica
dell'opera per evidenziare i caratteri amletici, ambigui ed esistenziali dei
personaggi. Il dramma schilleriano diventa shakespeariano e il grand-opéra
diventa tragédie lyrique. La vicenda storica, intrisa di fantasia dagli stessi
Schiller e Verdi, con Carsen si fa ancora più immaginaria, ma questa volta
l'immaginario è così realistico che quasi spaventa. Il lavoro del regista, come
già evidenziato in più occasioni, è sempre elegante, fortemente introspettivo,
precisissimo nei movimenti, nei gesti, nella filologia, dove nulla è lasciato al
caso, dove anche un piccolo gesto assume una grande importanza.
Tutti gli interpreti incarnano alla perfezione l'idea di fondo dello
spettacolo e seguono attentamente l'enigmatico filo conduttore lasciando il
pubblico col fiato sospeso.
Piero Pretti è un Don Carlo eccellente, generoso,
dotato del giusto spessore vocale tipicamente lirico, arricchito da un'ottima
punta, con acuti luminosi e brillanti.
Lo affianca la bravissima Elisabetta di Maria Agresta, che
forse appare un po' affaticata rispetto alle strabilianti recite di Madrid, ma è
sempre una delle migliori interpreti verdiane del momento.
Julian Kim è un Rodrigo encomiabile, anch'egli
particolarmente prodigo e raggiante. Volendo cercare il pelo nell'uovo, forse ci
si sarebbe aspettata una maggiore accuratezza nei trilli.
Veronica Simeoni continua ad essere una professionista di
alto livello, ma il ruolo di Eboli sembra essere oltre le sue
possibilità. Le note sono al loro posto e il fraseggio è studiato, ma il timbro
chiaro non la aiuta, né nei colori, né negli accenti, dando l'impressione di un
certo vuoto.
Sorprende invece molto positivamente il Filippo II di Alex
Esposito: nonostante si sia affacciato da poco al canto verdiano, con
questo temibile ruolo dimostra di avere tutte le carte in regola. In termini di
vocalità è possibile affermare che non gli manchi nulla. E ulteriori riprese
della parte gli potranno conferire quella maggior ricerca nella parola e nel
fraseggio da renderlo sicuramente uno dei migliori.
Marco Spotti è indubbiamente un Grande Inquisitore
di riferimento, non solo per la qualità vocale, ma soprattutto per
l'espressività.
Molto bene anche per il frate di Leonard Bernard.
Bravi il Tebaldo di Barbara Massaro, il conte
di Lerma di Luca Casalin, l'araldo di
Matteo Roma.
Gilda Fiume è una voce dal cielo di lusso, come pure i
deputati fiamminghi di Szymon Chojnacki, William Corrò, Matteo Ferrara,
Armando Gabba, Claudio Levantino e Andrea Patucelli.
Eccellente il Coro del Teatro La Fenice preparato da
Claudio Marino Moretti.
Myung-Whun Chung dirige con la sua consueta precisione,
dando prova di ottime dinamiche e accenti vigorosi soprattutto nella seconda
parte.
|