Uno dei drammi più discussi e storicamente rappresentati di Gaetano
Donizetti, Lucrezia Borgia è il terzo titolo del
festival bergamasco, eseguito secondo la nuova edizione critica curata da
Roger Parker e Rosie Ward.
Tra le numerose versioni dell'opera, quasi tutte documentate, il direttore
musicale Riccardo Frizza opta per quella andata in scena al
Théâtre Italien di Parigi nel 1840, con il ripristino del duetto tra Gennaro e
Orsini. Frizza guida la bravissima Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
con gesto elegante, buon equilibrio nelle dinamiche e grande rispetto per le
voci in palcoscenico.
Encomiabile la prova del Coro del Teatro Municipale di Piacenza
preparato da Corrado Casati, soprattutto nell'intenso
finale del prologo e nel duettino tra Rustighello e Astolfo.
Carmela Remigio offre una prova di Lucrezia
dall'alto della sua professionalità di belcantista, che trova il suo apice nella
dizione e nel fraseggio, con una resa del personaggio perfettamente in linea con
l'idea della regia. Vocalmente si ritrova il vigore degli accenti che aveva pure
espresso in Anna Bolena, ma sfortunatamente si rinvengono pure i centri un poco
vuoti e velati che si erano uditi nell'Elisabetta di Maria Stuarda.
Xabier Anduaga, dotato di uno strabiliante timbro solare,
esegue il ruolo di Gennaro ben al di sopra delle aspettative. Già in
precedenza si era notata la bellezza, la luminosità, la lucentezza della sua
voce, ma in questa occasione è possibile affermare che il giovane tenore ha
dell'oro in bocca. C'è da sperare che agenti senza scrupoli e direttori
artistici insipienti o incompetenti non lo rovinino proponendogli ruoli
sbagliati e troppo in fretta, con false promesse che lo danneggerebbero, a
favore soltanto della visibilità e delle tasche di chi lo metterebbe in
difficili condizioni.
Marko Mimica è un ottimo Duca, dal timbro
vellutato, con sfumature e sfaccettature nella resa di un personaggio
interessante, che mette in mostra la rabbia di un uomo innamorato, ma geloso e
deluso, piuttosto che un perfido spietato che desidera soltanto salvaguardare la
sua proprietà.
Varduhi Abrahamyan è un Maffio di lusso. La sua
voluminosa e vellutata vocalità è dotata di corpo, di spessore ed è arricchita
da un buon uso delle agilità e dei colori.
Molto bene anche per il lungo stuolo di comprimari, in generale di buon
livello e omogenei tra loro, con il Liverotto di Manuel
Pierattelli, il Gazella di Alex Martini, il
Petrucci di Roberto Maietta, il Vitellozzo di
Daniele Lettieri, il Gubetta di Rocco
Cavalluzzi e un particolare encomio per i bravi Edoardo
Milletti nei panni di Rustighello e Federico Benetti
in quelli di Astolfo.
Note positive anche per lo spettacolo di Andrea Bernard, che
si avvale di simboli e simbolismi piuttosto chiari collegati alla maternità
rubata di Lucrezia, introducendo anche il realismo storico del padre Rodrigo
(che si sarebbe preferito interpretato da un figurante più anziano dovendo
impersonare un sessantaseienne) che le fa togliere il figlio illegittimo. Altri
emblemi appaiono più offuscati e sembrano richiamare a una qualche sorta di
girone dantesco. È comunque molto efficace, coerente, curato nei movimenti e
nelle gestualità, decisamente attuale nel tema della maternità salvifica e della
donna schiacciata dalla società maschilista.
Le scene di Alberto Beltrame, arricchite dalle luci di
Marco Alba, sono molto semplici ma piuttosto suggestive e
d'effetto, però col grosso neo di essere visibili appieno soltanto dalla platea,
mentre i piani superiori si perdono il bel gioco d'ambiente creato dal soffitto
dorato.
Molto ben adeguati allo spettacolo i costumi di Elena
Beccaro, che richiamano la moda rinascimentale con qualche aggiunta
dark, oltre alla nota di colore giallo - forse simbolo di salvezza o
purificazione - della giacca di Gennaro e dell'abito di Lucrezia.
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