Rappresentata nella monumentale Chiesa di San Francesco del Prato,
questa edizione di Luisa Miller è una vera e propria occasione
persa.
Nelle note di direzione Roberto Abbado scrive: "con mia
grande sorpresa l'acustica risulta molto migliore di quel che la struttura
architettonica potrebbe far sospettare", ma purtroppo non è così.
Presumibilmente il direttore non è stato informato che poco oltre le prime file
di platea, dal costo di 250 euro alla première e 230 alle repliche, il suono
inizia a diminuire, in alcuni casi a distorcersi, probabilmente con onde,
frequenze o vibrazioni rifratte a tratti o solo parzialmente dalla struttura in
metallo. Il secondo settore, dove un posto costa 150 e 130 euro, è quasi
completamente cieco e sordo. Non volendo cambiare location, occorreva richiedere
l'intervento dei migliori tecnici del suono, oltre agli architetti per sistemare
il declivio e dare a tutti la possibilità di vedere e sentire, oppure rimborsare
parzialmente i biglietti: la ridotta visibilità, l'acustica discutibile e una
poltrona dura non giustificano il prezzo, neppure in presenza degli artisti più
quotati.
Dalla tribuna posta in piano rialzato si è potuto assistere comodamente allo
spettacolo, ma discorso diverso vale per l'ascolto poiché l'orchestra, il coro e
le voci basse arrivavano in un miscuglio ottuso e ovattato che poco permetteva
di comprenderne la qualità. Soprano e tenore arrivavano bene solo in alcune
note. La sola a udirsi chiaramente era Martina Belli, una brava
Federica caratterizzata da un bel colore, una linea di canto pulita,
nonché una certa eleganza di stile. In terzo atto, assistendo dalla prima
fila di platea, sembrava tutta un'altra opera.
Roberto Abbado, alla guida dell'Orchestra del Teatro
Comunale di Bologna - anche in questo caso, come in Aida, non priva di
errori - conduce il finale tragico in un tripudio di cromatismi davvero
emozionanti, rendendo chiaramente il senso di disperazione dei due protagonisti,
contornato da un lato dalla speranza, dall'altro da un forte senso di morte. Nel
trasmettere questi sentimenti attraverso i colori orchestrali il direttore
milanese è eccezionale.
Francesca Dotto esegue un terzo atto tecnicamente da
manuale, pur avendo bisogno di migliorare la proiezione sia negli acuti sia nei
gravi, entrambi un poco coperti dalla musica. Per il resto la sua Luisa
è puntuale nei virtuosismi, ha un bel timbro, è eloquente nel fraseggio e
prodiga di accenti.
La affianca un altrettanto valoroso Amadi Lagha nei panni di
un Rodolfo molto generoso, brillante in acuto, nonché veramente
espressivo. Molto buona anche la prova del Miller di Franco Vassallo nel
commovente duetto “Andrem, raminghi e poveri”.
Piuttosto efficace la Laura di Veta Pilipenko.
Purtroppo non è possibile parlare della prova di Riccardo Zanellato nel
ruolo di Walter, né di Gabriele Sagona in quello di
Wurm, non avendo cantato in terzo atto. Lo stesso vale per il
contadino di Federico Veltri e il Coro del Teatro
Comunale di Bologna, seppur da considerarsi positivo in “Come in un
giorno solo”.
Lo spettacolo di Lev Dodin - che vede tutta la vicenda come
una sorta di liturgia, oltre a far avvelenare tutti i personaggi tranne
Federica nel finale - è estremamente povero e noioso. Il coro alla greca,
incappucciato, non fa altro che entrare, uscire, sedersi e alzarsi. Amici,
parenti e cortigiani non esistono. I numerosi mimi, abbigliati come arcieri o
falconieri, non fanno altro che spostare tavole e cavallotti. I protagonisti
camminano lungo il coro, ruotano su se stessi come carillon, salgono in piedi
sui tavoli: azione scenica di cattivissimo gusto. Nulla di più.
Aleksandr Borovskij firma delle scene che ben si
amalgamano con le impalcature e dei costumi piuttosto ordinari ma efficaci.
Nonostante tutto le luci di Damir Ismagilov sono
strabilianti, estremamente suggestive, descrittive dei protagonisti e dei loro
sentimenti, ma soprattutto sono l'unico vero elemento che riesce in qualche
modo, illuminando anche le campate laterali, ad unire il pubblico al
palcoscenico.
Sarebbe forse stato meglio annunciare il mancato completamento del restauro
della Chiesa di San Francesco del Prato ed effettuare le recite in forma di
concerto all'Auditorium Paganini?
Meglio accontentare gli amanti del luogo storico, oppure meglio scontentare
chi ha pagato e non ha visto e sentito?
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