Ideata nel 2001 in occasione del Centenario Verdiano, fortemente voluta
dall'allora direttore generale della Fondazione Arturo Toscanini,
Gianni Baratta, quando ancora Busseto e Parma non riuscivano a
dialogare, quando ancora il Verdi Festival - perché così si chiamava - non
riusciva a decollare, anzi nasceva dalle proprie ceneri per finire bruciato di
nuovo, questa Aida firmata da Franco Zeffirelli
suscitò clamore e stupore tale da essere richiesta da così tanti altri teatri da
realizzare il traguardo delle cento recite già nel 2003.
Lo straordinario spettacolo del regista e scenografo fiorentino è qui ripreso
da Stefano Trespidi che, presumibilmente avvalendosi di risorse
inferiori alle necessità, mette in palcoscenico oltre una dozzina di persone in
meno, tra coro e figuranti, mostrando dei vuoti rispetto all'originale, come
pure la gestualità e gli sguardi dei protagonisti sono lontani da quel miracolo
iniziale fortunatamente registrato e documentato in un DVD edito da RaiTrade e
TDK e in un bellissimo libro fotografico di Gianfranco Lelj. Lo stesso vale per
le scene, che negli anni si sono sbiadite - soprattutto il fondale con la
piramide - e avrebbero bisogno di un ritocco, oppure di una migliore
illuminazione.
Fiammetta Baldisserri fa i salti mortali con le risorse
illuminotecniche a sua disposizione, ma non è sufficiente a ripetere la magia
suggestiva dei blu e degli oro che avrebbero dovuto accompagnare il trionfo
verso la tragica intimità conclusiva. Anche gli eccezionali e pregevolissimi
costumi di Anna Anni, qui ripresi da Lorena Marin,
negli anni hanno pian piano perso parte dei loro elementi preziosi, soprattutto
quelli di Aida che, sinceramente, sembrano stati acquistati al mercato di Piazza
Ghiaia. Zeffirelli era stato chiaro: Aida non è una schiava qualunque, ma una
serva della principessa reale.
Ciononostante è un bello spettacolo e al Teatro Regio di Parma
va il merito di aver permesso questo tanto desiderato ritorno. Come pure
all'istituzione parmigiana va il plauso di avere riportato il piccolo teatro di
Busseto ad essere palcoscenico di lancio di tanti giovani seppur, in questa
occasione, non tutti gli interpreti risultavano essere adeguatamente preparati.
La scuola di Carlo Bergonzi di venti anni fa dimostrava un livello che si
auspicherebbe avere anche tuttora.
In termini canori il fiore all'occhiello è rappresentato dal Radames
di Bumjoo Lee che, nonostante un serio difetto di pronuncia
delle sibilanti, svetta in acuto con luminosità e buon appoggio, mantenendosi
saldo e smaltato anche verso il basso.
Più che soddisfacente l'Amonasro di Andrea Borghini,
brillante e dotato di buon accento, anche se un poco debole nella zona medio
grave.
Lo stesso vale per il Ramfis di Dongho Kim, la cui
voce scura manca però dello spessore necessario all'imponente ruolo del
sacerdote. Pure adeguato, solo leggermente incerto, il Re di
Renzo Ran.
Aida è Natalie Aroyan, dotata di voce davvero molto
importante e dal bel colore, ma povera di tecnica. Il soprano australiano ha
degli ottimi mezzi, ma ha bisogno di rivedere l'emissione, che talvolta risulta
velata, talaltra forzata, esaurendo presto le sue energie; perfezionare l'uso
dei fiati, non riuscendo a tenere lunghe certe note o a emettere un piano;
infine migliorare l'eleganza con cui si dovrebbe stare in palcoscenico.
Discorso similare per Daria Chernii nei panni di una
Amneris poco fine sia nell'interpretazione che nella vocalità piuttosto
opaca e in difficoltà negli acuti.
La sacerdotessa di Chiara Mogini mostra qualche
problema di intonazione, mentre il messaggero di Manuel
Rodriguez non si ode nelle note basse.
È infine eccellente la direzione di Michelangelo Mazza,
sempre molto omogeneo ed equilibrato, bravo nell'accento verdiano, così come nei
raffinati pianissimi.
Non sempre alla sua altezza è l'Orchestra del Teatro Comunale di
Bologna che, seppur ottima per gran parte dell'esecuzione, si trova un
po' in difficoltà con le trombe durante il trionfo e con gli archi sul finale
dell'opera.
Buona la prova del Coro, meglio vocalmente che scenicamente, guidato da
Alberto Malazzi.
Sempre efficacissime le coreografie di Luc Bouy, molto brave
le danzatrici.
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