La monumentale Semiramide è una delle poche opere serie di
Gioachino Rossini a non essere mai uscita dal repertorio e,
proprio per questo, è stata vittima di centinaia di modifiche di volta in volta
volute dalla tradizione che si andava formando nell'Ottocento e nel Novecento.
Grazie al lavoro scientifico, all'edizione critica curata da Philip
Gossett e Alberto Zedda, alle precedenti edizioni pesaresi del 1992,
1994 e 2003, oggi è sempre più possibile prendere parte a rappresentazioni per
lo più integrali e comunque aderenti all'originario stile rossiniano. Assistendo
a una Semiramide comprensiva di tutte le pagine e tutte le note, ci si rende
subito conto di quanto siano tutte necessarie, non tanto per lo svolgimento del
dramma, quanto per l'equilibrio generale e la descrizione puntuale dell'animo
dei personaggi, un'intera struttura psicologica descritta attraverso la
perfezione degli schemi musicali.
Lungo questa linea di intenti si colloca la lettura del rossiniano DOC
Michele Mariotti. Le dinamiche proposte nella sinfonia e
nell'introduzione non sono molto chiare, apparentemente disequilibrate tra
rallentati e accelerati, ma trovano un senso a partire dai numeri successivi,
dove ogni momento dilatato porta in sé una descrittività davvero sorprendente.
Alla guida della stupenda Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI,
Mariotti assolve l'imponente compito in maniera grandiosa, ricco di colori
illustrativi particolarmente sentiti. Eccelle in maniera addirittura toccante il
Coro del Teatro Ventidio Basso preparato da Giovanni
Farina; i sussurrati nell'introduzione sono da pelledoca.
Salome Jicia, nel ruolo del titolo, dimostra ancora una
volta di essere un'ottima interprete rossiniana, migliore rispetto ad altri
repertori. Tecnicamente ineccepibile porta in scena una Regina musicalmente ben
rifinita, anche se il fraseggio non è dei più emozionanti, forse mancando dello
spessore autorevole necessario alla parte.
La affianca l'egregio Arsace di Varduhi Abrahamyan,
anch'ella precisa e meticolosa, pure nell'uso degli accenti, oltre che negli
sfolgoranti virtuosismi, senza però sorprendere nella passionalità.
Superato a pieni voti il debutto al ROF di Nahuel Di Pierro
nei panni di un Assur severo, seppur non imponente, audace, seppur un
poco misurato. Il colore vocale appare perfetto, la tecnica ben rifinita, le
agilità ben impostate, nonostante lo accompagni di sovente un leggero movimento
della testa.
Entusiasmante e coinvolgente l'Idreno di Antonino Siragusa,
che arricchisce tutta la parte di colori e sfumature addirittura commoventi,
sentendosi chiaramente l'esperienza pluriennale. Le variazioni sono naturalmente
adattate alla sua voce di oggi.
L'Oroe di Carlo Cigni è forse il personaggio più
riuscito dello spettacolo. La sua interpretazione ascetica segue una linea
narrativa tutta sua e Cigni la sa mantenere con grande equilibrio. Peccato che
lo stile di canto non sia così marcatamente rossiniano e che si senta una certa
fatica nelle note più gravi.
Efficaci Martiniana Antonie nei panni di Azema,
Alessandro Luciano in quelli di Mitrane e Sergey
Artamonov quale grave e solenne Ombra di Nino.
Lo spettacolo, coprodotto con l'Opéra Royal de Wallonie di Liegi,
messo in scena da Graham Vick, con le affascinanti scenografie
e i pregiati costumi di Stuart Nunn e le incantevoli luci
suggestive di Giuseppe Di Iorio, desta numerose domande come
già per Guillaume Tell.
Contrariamente alle produzioni de L'inganno felice e Mosè in Egitto, di
comprensione ben più immediata, Semiramide è densa di simbolismi, atteggiamenti
e gestualità così disparate da trasmettere, in maniera più o meno conscia,
molteplici significati. Uscire da teatro con delle domande è sicuramente
incoraggiante e stimolante.
Questo spettacolo è da rivedersi almeno un altro paio di volte, come
Guillaume Tell. In ogni caso, che piaccia o non piaccia, Vick lavora
meticolosamente, dando valore ad ogni nota e soprattutto ad ogni parola, con
sorprendente aderenza alla partitura.
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