Dopo oltre quaranta anni di assenza I masnadieri torna sul
palcoscenico del Teatro alla Scala. Opera ingiustamente
considerata minore, tratta dall'omonima tragedia di Friedrich Schiller,
contiene alcune delle pagine più interessanti del Verdi
sperimentale e soprattutto porta con sé una chiara espressione della vocalità e
dell'accento del Cigno di Busseto.
Michele Mariotti, universalmente riconosciuto come uno dei
migliori direttori del repertorio belcantistico, non riesce a ripetere appieno
le magiche prodezze compiute in Attila o ne Il
trovatore, bensì appare un poco impantanato nel languore romantico e
patetico come accaduto per I due Foscari.
Le tonalità plumbee e funeree del primo atto e della prima parte del secondo
sono dipinte in maniera piuttosto flaccida, non riuscendo a sostenere per bene
il carattere dei personaggi, né del melodramma intero. È solo col finale
secondo, a partire dall'aria di Carlo, il finale terzo, dall'aria di
Massimiliano, e il finale quarto che dimostra il suo vero sapere
romantico, quello fatto di passioni, di disperazione ed eroismo, non quello
depresso e passivo. È in queste meravigliose pagine che si ritrova l'eccellente
direttore che, alla guida della splendida Orchestra del Teatro alla
Scala, dona forti emozioni vibranti in tutta la sala.
Protagonista è Fabio Sartori che, pur partendo un poco
debole, si dimostra poi essere l'ottimo tenore verdiano di sempre, dotato di
vocalità smaltata e acuti squillanti, con un ottimo controllo dei fiati e una
notevole capacità di dosare i colori. Esemplare è la resa di “Di ladroni
attorniato”.
Lisette Oropesa è una bravissima Amalia che, in
maniera molto intelligente e sicuramente grazie ad una tecnica piuttosto solida,
risolve le insidie del ruolo piegandolo e adattandolo totalmente alla propria
voce. Il soprano mostra dunque una splendida luminosità diamantina, corroborata
di filati raffinati, trilli pregiati e agilità precise, pur con una emissione
che non corre e che ha bisogno di essere in proscenio per essere ben proiettata.
Massimo Cavalletti è un bravo baritono di routine, sempre
corretto, ben timbrato e brillante, ma che in questo ruolo non entusiasma. Il
personaggio di Francesco è piuttosto complesso sotto il profilo
drammatico, sia in termini d'accento che di colori, ma che Cavalletti risolve
solo in parte. Tutto sommato si tratta di una discreta esecuzione, mancando però
quel piglio verdiano che dovrebbe uscire soprattutto in quarto atto, non solo
nella scena del sogno, ma anche nel successivo duetto con Moser, dove
viene meno quel carattere tragico essenziale a queste pagine.
Le stesse lacune si possono pertanto asserire ad Alessandro Spina
che, pur dimostrando le sue consuete buone capacità, qui manca
dell'autorevolezza e della levatura necessarie.
Michele Pertusi è un Massimiliano eccellente,
soprattutto per ciò che riguarda l'eloquenza del fraseggio e l'uso della parola,
dosati e centellinati con dei cromatismi piuttosto raffinati.
Buone le prove dell'Arminio di Francesco Pittari,
del Rolla di Matteo Desole e del Coro del Teatro alla
Scala guidato da Bruno Casoni.
La parte più debole della rappresentazione è lo spettacolo piuttosto banale
di David McVicar, che non riesce a mantenere il suo consueto
livello di fastosa radiosità. Nulla da eccepire in merito al lavoro specifico
sui movimenti e la gestualità dei personaggi.
Ciò che funziona solo in parte è la resa complessiva, colpevoli una
scenografia fissa - a cura di Charles Edwards - che mal
suddivide le singole azioni e i movimenti coreografici - di Jo
Meredith - piuttosto inutili e talvolta sciocchi come in terzo atto.
L'onnipresenza dell'autore della tragedia, del tutto inutile allo svolgimento
della vicenda, sembra voler riempire un vuoto di idee.
In linea col grigiore generico sono i costumi settecenteschi di
Brigitte Reiffenstuel e le luci di Adam
Silverman.
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