Dopo tredici anni di assenza, La forza del destino di
Giuseppe Verdi torna sul palcoscenico del Teatro
Municipale di Piacenza in uno spettacolo firmato da Italo
Nunziata.
L'allestimento piacevolmente minimalista, che si avvale delle scene di
Emanuele Sinisi e dei dipinti di Hannu Palosuo,
è particolarmente efficacie nel raccontare la vicenda privata dei protagonisti
divisi da un destino avverso, ma il lavoro di regia, oltremodo convincente nei
tableau corali - eccezion fatta per quei momenti in cui si sarebbe auspicato il
doppio coro - è piuttosto scarno nei momenti tra i soli personaggi principali.
Adeguati all'insieme i costumi di Simona Morresi e le luci di
Fiammetta Baldiserri. Sono invece abbastanza latitanti le
coreografie di Riccardo Buscarini, da cui ci si sarebbe
aspettato molto di più.
La direzione di Francesco Ivan Ciampa non è
straordinariamente prodiga di letture personali o accenti di stile, ma ha il
pregio, come di suo consueto, di creare un buon amalgama tra buca e
palcoscenico, lasciando spazio ai solisti e mantenendo il polso ben saldo per
tutta la lunga durata del melodramma. Avrebbe sicuramente ottenuto risultati
superiori se la sezione ottoni dell'Orchestra Regionale
dell'Emilia-Romagna avesse suonato meglio. Superlativa la prova del
Coro del Teatro Municipale di Piacenza guidato da
Corrado Casati, che in questa occasione supera se stesso in un tripudio
di colori e sfumature davvero subimi.
Come già rilevato in diverse occasioni, Anna Pirozzi
possiede una delle vocalità più importanti e interessanti del momento, sostenuta
da uno strumento davvero consistente, ma nel ruolo di Leonora, sempre
scoperto e in primo piano, pur mostrando dei centri meravigliosi, emergono
altresì fin da subito tutte le magagne che spesso la contraddistinguono: certe
stonacchiature, certi acutini striduli, certi pianissimi mal sostenuti sul
fiato, certi legati poco sicuri e conseguente senso di poca omogeneità. Tutto
ciò è un vero peccato, uno spreco di talento, poiché le basterebbe poco per
sistemare queste problematiche per passare da una brillante carriera
internazionale, che già possiede, a essere davvero - e non per marketing - una
delle migliori interpreti del momento.
Luciano Ganci ha la vocalità e il timbro perfetti per il
ruolo di Alvaro, con un bello smalto e una buona brillantezza, ma anche
nel suo caso la natura non è sufficiente per una parte così ardua e le lacune
tecniche lasciano troppo spazio a imprecisioni, frammentarietà e discontinuità.
Discorso diametralmente opposto per il Don Carlo di Kiril
Manolov, che risolve testualmente tutto ciò che deve, ma è abbastanza
povero di colori e sfumature, di fraseggi e di interpretazione.
Sorprende in maniera molto positiva il Padre Guardiano di
Marko Mimica, che si trova molto a suo agio in questo cavernoso ruolo
verdiano pur non essendo un basso profondo, risultando tanto credibile nelle
intenzioni quanto piacevole nel suono.
Ottimo il Fra Melitone di Marco Filippo Romano, che
si riconferma uno dei migliori baritoni buffi della sua generazione, dotato di
savoir-faire, di fraseggi eloquenti e sostenuto da una tecnica ferrea.
Bravissima anche Judit Kutasi nella difficile parte di
Preziosilla, in cui la cantante deve essere dotata di voce ampia nel
volume, estesa ed elastica, oltre che sapientemente piegata all'interpretazione.
Concludono la rosa dei protagonisti il bravo Mattia Denti
nel ruolo del marchese, Cinzia Chiarini nei panni di
Curra, Marcello Nardis nelle vesta di Mastro
Trabuco e Juliusz Loranzi in quelle di un alcade
e un chirurgo.
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