Il castello di Kenilworth è stato per molto tempo
ingiustamente considerato un passo indietro nel processo di affrancamento di
Donizetti dai suoi predecessori, Rossini in primis, ma un più
attento esame della partitura porta invece a riconoscere che si tratta di un
lavoro che anticipa schemi musicali e situazioni drammatiche poi usate in opere
successive e della maturità. E ciò lo testimonia anche il fatto che Donizetti
stesso vi mise mano più volte e a più riprese.
In occasione del Festival Donizetti Opera 2018 si è
ascoltata la prima versione del melodramma, andata in scena a Napoli nel 1829,
secondo la revisione sull'autografo a cura di Giovanni Schiavotti.
Lo spettacolo di Maria Pilar Pérez Aspa, con scene minimali
di Angelo Sala, costumi d'epoca di Ursula Patzak
e luci di Fiammetta Baldiserri, appare molto povero e banale,
non tanto per l'impianto ridotto ai minimi termini, quanto per la vecchia e
polverosa idea della gabbia e della prigione, di ferro o dorata, reale o
immaginaria che sia, già vista , rivista e stravista fin troppe volte e qui
senza alcun significato aggiuntivo, oltre a una pressoché totale assenza di
movimento, sguardi, gestualità e controscene, se non per i protagonisti che
comunque sembra vadano ognuno per la sua strada e non secondo un disegno
complessivo. Il tutto risulta abbastanza noioso e non aiuta di certo la
direzione di Riccardo Frizza che, seppur discreta, sembra più svolgere il
compito da spartito piuttosto che cercare di dare un'impronta, qualunque essa
sia.
L'Elisabetta di Jessica Pratt è deludente, dando
prova positiva solo nel personaggio. La brava cantante sembra vocalmente quasi
irriconoscibile, spesso calante e prodiga di sovracuti fissi e fastidiosi.
Fortunatamente le riesce meglio l'aria finale.
Prova discontinua per l'Amelia di Carmela Remigio,
ottima nei duetti di primo atto dove mostra un bel colore, un fraseggio deciso e
una buona interpretazione, ma non soddisfa durante la sua aria in secondo atto,
contagiata da precaria intonazione.
Decisamente poco intonato è il Leicester di Francisco Brito,
che mostra il suo lato efficace solo nella brillantezza e nell'uso delle
agilità.
Ottima è invece la prova di Stefan Pop nei panni di
Warney. Voce smaltata, linea di canto omogenea, acuti saldi e sicuri, note
basse da baritenore ben timbrate.
Più che positivi il Lambourne di Dario Russo e la
Fanny di Federica Vitali.
Buona la resa del Coro Donizetti Opera guidato da Fabio Tartari.
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