Indubbiamente l'ideazione dello spettacolo è stata l'oggetto delle maggiori
critiche, ma ciò può essere anche spunto di ulteriori riflessioni.
Le opinioni più contrastanti accusano Pynkoski di non avere
una chiara linea drammaturgica: è lontano dalle didascalie del libretto, come
pure da una trasposizione a tutti gli effetti, di quelle che attirano le
contestazioni del pubblico di massa, ma l'approvazione di chi è maggiormente
accanto agli addetti ai lavori. Ma seguendo attentamente tutta l'opera,
considerando l'estremo colore delle scene fiabesche di Gerard Gauci,
le intense luci di Michelle Ramsay, la leziosità delle precise
coreografie di Jeannette Lajeunesse Zingg, l'accostamento di
più epoche dei pregevoli costumi di Michael Gianfrancesco e
certuni atteggiamenti comicheggianti dei protagonisti, forse la regia di
Marshall Pynkoski ha voluto rifarsi all'ironia e alla satira di cui è
intriso il poema eroico Ricciardetto di Niccolò Forteguerri,
fonte letteraria del libretto di Francesco Berio di Salsa,
andando così a cercare un senso alla sorgente, non trovandolo in una trama
d'opera che in effetti appare parecchio zoppa.
Giacomo Sagripanti, alla guida della precisissima e
pulitissima Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, conduce
l'esecuzione con buon polso, mantenendosi sempre vivace, in perfetta armonia col
palcoscenico, prodigo di variazioni al fine di adattare meglio certe parti alle
vocalità di cui dispone.
Dopo tanto peregrinare attorno a Ricciardo, finalmente Juan
Diego Florez debutta nel ruolo originariamente scritto per
Giovanni David e lo fa con la consueta professionalità. A dire il vero
è totalmente a suo agio in ogni pagina della parte che sembra quasi una
passeggiata. Sempre tecnicamente perfetto, agilità encomiabili che godono ancora
della necessaria elasticità, acuti pulitissimi e sfavillanti, fraseggio
espressivo oltre ogni limite, corroborato non solo dalla costante ottima
dizione, ma anche dalla meravigliosa capacità di articolare i suoni e ogni
singola lettera come nessun altro sa fare. Un successo annunciato e all'altezza
delle numerose aspettative.
Lo accompagna la Zomira della bravissima Pretty Yende
che, per meglio adattare il ruolo Colbran alla sua vocalità leggera,
esegue diverse e molteplici variazioni in acuto. È anch'ella maestra di
precisione, soprattutto nelle colorature, tanto da eseguire passaggi che
potrebbero essere definiti pregevoli. Deliziosi anche gli accenti più patetici.
Volendo cercare il pelo nell'uovo talvolta si sentono alcuni suoni un po' duri,
ma questo fa anche parte della sua vocalità ed è un nonnulla in confronto
all'accuratezza con cui esegue la parte.
Sergey Romanovsky canta come Dio comanda e porta in scena un
Agorante - il vero protagonista dell'opera - perfettamente cesellato.
Tecnica rifinita, agilità flessibili e scattanti, acuti svettanti e smaltati,
ottimo fraseggio. Purtroppo il ruolo gli sta leggermente largo e pur con le
numerose variazioni in acuto si sentono mancare alcuni accenti drammatici, oltre
a un certo peso nelle note basse tipiche del baritenore.
Victoria Yarovaya è una bravissima Zomira in quanto
a correttezza e precisione nell'esecuzione musicale, forse un po' troppo
macchietta nell'interpretazione scenica.
Ineccepibile l'Ircano di Nicola Ulivieri.
Ottima sorpresa l'Ernesto di Xabier Andagua, che si
vorrebbe riudire in altri ruoli.
Corretti e professionali Sofia Mchedlishvili in Fatima,
Martiniana Antonie in Elmira e Ruzil Gatin
in Zamorre.
Buona la prova del Coro del Teatro Ventidio Basso preparato
da Giovanni Farina, anche se lo si sarebbe preferito con un
poco più di mordente nelle parti maggiormente drammatiche.
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