Dopo oltre sessant'anni di assenza Il pirata di Vincenzo Bellini
torna sul palcoscenico del Piermarini, proseguendo il nuovo corso
belcantista del Teatro alla Scala che ha già visto riproporre
titoli come Giovanna d'Arco, La gazza ladra e Anna Bolena.
La sera della prima scorre fluidamente attraverso poche interruzioni per
applausi piuttosto tiepidini, che invece si scaldano al termine della
rappresentazione arricchiti di forti contestazioni.
Piuttosto singolare è il comportamento del personale di sala delle gallerie,
che durante l'esecuzione lascia gli spettatori chiacchierare e fotografare
indisturbati, mentre interviene cercando di zittirli al momento della protesta.
Il malcontento del pubblico colpisce tutta la squadra della produzione
capitanata dalla regia di Emilio Sagi, con scene
di Daniel Bianco, costumi di Pepa Ojanguren
e luci di Albert Faura.
Lo spettacolo è piuttosto interessante da vedere, abbastanza suggestivo,
giocato su colori tenui e freddi, pareti riflettenti, attrezzeria minimalista,
con un lavoro di regia che offre qualche controscena. Purtroppo ciò che manca è
uno spunto che crei un interesse al di là del semplice raccontare e soprattutto,
nel titolo che ha dato il via al Romanticismo nell'opera italiana, si trascura
il gesto teatrale naturalmente descritto dalla musica di Bellini.
Lo scontento del loggione è rivolto anche alla direzione di Riccardo
Frizza, che opta per un'edizione piuttosto integrale, col solo taglio
di una manciata di frasi, ma con tutti i da capo comprensivi di variazioni.
Sfortunatamente non si sentono accenti e colori personali, né sfumature
particolarmente belliniane, pertanto il suo accompagnare e lasciar fraseggiare
gli interpreti avrebbe funzionato solo se questi avessero fraseggiato.
La star del momento Sonya Yoncheva veste i panni di Imogene,
mettendo in mostra la sua inconfutabile bellezza, un carisma assolutamente
magnetico e una presenza scenica davvero invidiabile, oltre ad una certa
imponenza e importanza vocale di cui è naturalmente dotata. Ed è un peccato che
i teatri di tutto il mondo si accontentino di ciò, poiché le carenze e le lacune
tecniche sono diverse e si fanno sentire, salvo che si resti ipnotizzati dal suo
dolce viso. La zona centrale è morbida, ma i gravi sono snaturati e cambiano
colore a causa di un eccessivo spingere che le fa perdere brillantezza negli
acuti, spesso non sostenuti, di conseguenza calanti, talvolta urlati. E una
cantante di tale livello non dovrebbe essere stonata, soprattutto in un ruolo
che non possiede particolari difficoltà. Né dovrebbe atteggiarsi a diva
hollywoodiana degli anni trascorsi, ma cercare almeno di esprimere un minimo di
raffinatezza, possibilmente in accordo col testo.
Il temibile ruolo di Gualtiero è eseguito da un discreto
Piero Pretti, per il quale si è scelta la tonalità più adeguata alla
sua voce. Certamente non ci si potevano aspettare le puntature da contraltino e
neppure gli accenti drammatici tanto in voga negli anni cinquanta e sessanta,
mentre deve essere riconosciuto il merito di aver eseguito una parte scritta e
personalizzata per le corde di un fuoriclasse. Probabilmente troppo concentrato
sull'intonazione e sul suono, appena un po' tirato negli acuti più estremi,
perde carattere nelle pagine in cui sarebbe stato necessario un accento più
eroico, come pure poco si sentono i fraseggi più dolci e romantici.
Altre forti contestazioni sono rivolte a Nicola Alaimo che
esegue la parte di Ernesto con una voce poco timbrata, che non corre e
che spesso è coperta da altri suoni.
Piuttosto buona è la prova di Riccardo Fassi nel ruolo di
Goffredo, come pure Marina De Liso in quello di
Adele. Francesco Pittari è un adeguato Itulbo.
Pure buona è la performance del Coro del Teatro alla Scala
preparato da Bruno Casoni.
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