Dopo il grande successo riscosso ne Il trionfo del tempo e del
disinganno, Diego Fasolis torna alla Scala per
dirigere Händel in Tamerlano, ancora una volta
con i suoi collaboratori I Barocchisti della Radiotelevisione Svizzera
e con i musicisti della Scala su strumenti storici.
L'opera in tre atti, su libretto di Nicola Francesco Haym, è
indubbiamente uno dei capolavori del prolifico compositore tedesco, poiché non
solo straripa di musica sublime, ma si basa su un libretto dalla drammaturgia
intensa e significativa.
Lo spettacolo firmato da Davide Livermore è sicuramente uno
dei migliori del regista torinese, certo non solo per l'accattivante
trasposizione ai tempi della Rivoluzione d'Ottobre, ma soprattutto per
l'attenzione ai particolari, al minuzioso lavoro sulla gestualità, al meticoloso
impiego di continui movimenti e spostamenti per rendere l'azione anche durante
le lunghe arie sentimentali. Alcuni passaggi sono altamente realisti, altri
molto poetici - anche grazie all'aiuto dei bravissimi mimi - in un amalgama che
tiene alta l'attenzione per oltre quattro ore.
Letteralmente strabilianti i costumi femminili di Mariana Fracasso,
pure centratissimi quelli maschili, trucco compreso. Bellissime le scene di
Davide Livermore e Giò Forma, come pure i
video di Videomakers D-Wok.
Diego Fasolis si riconferma eccellente direttore di questo
repertorio, in particolare per lo stile e la coerenza. Soprattutto si apprezza
il lavoro di taglia e cuci svolto sulle varie versioni dell'opera al fine di
arrivare al miglior adattamento possibile alle esigenze degli interpreti e del
nuovo allestimento.
La star americana Bejun Mehta veste con estrema disinvoltura
i panni del protagonista, ruolo scritto per contralto. Il controtenore mostra
una vocalità sopranile limpida e sonora che sfocia nel falsetto soltanto negli
acuti più estremi, forse a causa dell'annunciato raffreddore. Ottima la resa del
personaggio, soprattutto nell'accostamento Tamerlano/Stalin, da cui
traspira una bonaria perfidia che pare quasi surreale.
Pure eccellente è l'argentino Franco Fagioli nella parte
mezzosopranile di Andronico. Se inizialmente appare un poco modesto, a
partire dal finale primo dimostra in pieno le sue capacità. Dunque non solo “Benché
mi sprezzi l'idol che adoro” è pagina davvero riuscita, ma anche le
successive “Cerco in vano di placare” e “Più d'una tigre altero”,
dove il controtenore mette in mostra le sue grandi doti nelle colorature e
l'incredibile abilità di scorrere velocemente dalle note più gravi a quelle più
acute.
Buona la prova di Maria Grazia Schiavo nei panni di
Asteria, molto corretta nello stile, ma forse un poco carente nell'accento
drammatico.
Più puntuale nelle sfaccettature del suo personaggio è l'Irene di
Marianne Crebassa, soprattutto nella riuscitissima “Par che
mi nasca in seno”, aria patetica che il mezzosoprano francese rende davvero
commovente.
Riuscitissimo il Leone/Rasputin di Christian Senn,
in particolare nella seconda aria mutuata dalla versione del 1731.
Troppo anziano il Bajazet di Placido Domingo, che
nonostante tutto riscuote un grande successo personale.
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