Riportare in scena titoli che al Piermarini hanno avuto i
loro natali, per poi essere ingiustamente dimenticati, è compito lodevole,
culturalmente vincente, ma al contempo difficile da mediare col gusto odierno
del pubblico. Nel caso della pregevole La gazza ladra, come lo
scorso anno per Giovanna d'Arco, si assiste a un recupero molto intelligente:
l'opera, nella sua interezza e revisione critica a cura del compianto
Alberto Zedda, è già stata più volte rappresentata al Rossini
Opera Festival di Pesaro, pertanto questa della Scala appare come una
conferma internazionale del ritorno di questo capolavoro - fatto di numeri
musicali fin troppo all'avanguardia per l'epoca - sulle scene di tutto il mondo.
Riccardo Chailly, che in molte occasioni ha dimostrato di
essere un ottimo esecutore del repertorio rossiniano, si avvale di un cast
composto quasi interamente di specialisti - in molti hanno già interpretato il
ruolo - e il risultato complessivo che ne ottiene, soprattutto in termini di
stile, è davvero eccellente, eccezion fatta per le variazioni che sono veramente
ridotte ai minimi termini. Il vigore con cui dirige “la grandiosa vastità
dell'affresco” è superbo, pur non mancando accenti drammatici e sfumature
patetiche, anche se in alcuni momenti si nota un eccessivo volume orchestrale.
Pregevole il fortepiano di James Vaughan. Ineccepibile
il Coro del Teatro alla Scala guidato da Bruno Casoni.
Rosa Feola è una bravissima Ninetta, tecnicamente
impeccabile, soprattutto nell'intonazione e nelle colorature. Il timbro è
leggermente acidulo e ciò rende ancor più interessante il gusto rossiniano,
particolarmente nei passaggi più meccanici. Per questo ruolo si preferirebbe una
vocalità più morbida e scura, tanto da rendere maggior pathos nelle pagine più
sentimentali e commoventi, purtuttavia Rosa Feola riesce comunque a rendere i
giusti colori.
La affianca il Giannetto di Edgardo Rocha che in
questa parte mostra ulteriori pregi rispetto a performance precedenti,
principalmente negli staccati, nelle punte, in generale in tutti i virtuosismi,
ma anche nelle belle frasi melense del finale primo.
Il canto di Michele Pertusi è da prendersi come una scuola.
Il suo modo di porgere il suono, di articolare la parola, di dare intenzione ad
ogni singolo fraseggio, in ambito rossiniano non ha rivali. È naturale che la
sua voce non abbia più l'elasticità di un tempo, ma l'espressività è
insuperabile e il suo Gottardo vive di tutte le sfumature volute dal
compositore, dalla quasi buffa cavatina, alla viscida e drammatica seconda aria,
fino alla resa conclusiva.
Alex Esposito è un Fernando più che eccellente.
Stile perfetto, linea di canto sempre uniforme, agilità sopraffine, colori
centratissimi e notevole spessore drammatico arricchiscono la sua vocalità già
naturalmente bella e predisposta al repertorio del pesarese.
Teresa Iervolino è una buona Lucia, principalmente
nell'interpretazione e nel canto patetico, ma c'è ancora molto spazio di
miglioramento nelle agilità e nella proiezione.
Serena Malfi è un Pippo più che discreto, ma
volume, timbro e proiezione hanno bisogno di maggior corpo.
Ottimo il Fabrizio di Paolo Bordogna, costantemente
brillante e con suoni sempre in punta. Molto piacevole l'Isacco di
Matteo Macchioni. Efficaci anche Matteo Mezzaro
nei panni di Antonio, Claudio Levantino in quelli di
Giorgio e del Pretore, Giovanni Romeo in
quelli di Ernesto.
Lo spettacolo di Gabriele Salvatores è abbastanza deludente.
Salvatores, come molti altri registi di cinema che si sono accostati o
riavvicinati al teatro dopo tanti anni, non appaga poiché privo di idee
originali. La gazza acrobata, le marionette, i doppi o le proiezioni dei
personaggi, il teatro nel teatro, sono tutte cose già viste e riviste che da
sole, senza una novità che faccia da zoccolo duro, non giustificano l'alto nome
del regista coinvolto. Detto ciò va comunque riconosciuta l'eccellenza del
lavoro minuzioso fatto con gli interpreti in termini di gesti, sguardi,
espressioni, movimenti, azioni che riempiono costantemente le oltre tre ore di
musica, poiché non c'è uno spazio vuoto, ma tutto è studiato nel minimo
dettaglio pur nella massima naturalezza.
In perfetta linea con lo spettacolo, anche se un poco anonime, le scene di
Gian Maurizio Fercioni e le luci di Marco Filibeck.
Migliori i costumi, sempre di Fercioni.
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