Il progetto Janáček-Carsen è indubbiamente uno dei più
interessanti programmi di cartellone messi in atto negli ultimi anni,
permettendo al pubblico italiano di assistere a più capolavori del grandissimo
compositore ceco, soprattutto attraverso un'unica chiave stilistica. Il lungo
catalogo dell'opera contiene migliaia e migliaia di titoli e accanto al grande
repertorio, quando i dirigenti scelgono di proporre un diverso tipo di offerta,
dovrebbero seguire l'esempio e farlo attraverso progetti, fili conduttori, che
portino spettacolo e cultura contestualizzata e non perla sporadica.
Originariamente creato per l'Opera di Anversa, poi
rappresentato anche alla Scala di Milano, l'allestimento altamente suggestivo di
Kát'a Kabanová approda sul palcoscenico di Torino incantando
letteralmente tutti gli spettatori.
Il lento scorrere dell'immenso Volga lo si percepisce chiaramente nella
musica di Janáček, qui ulteriormente sottolineato, forse
addirittura amplificato da Robert Carsen che sceglie di
rappresentare tutta la vicenda sull'acqua, usando solo alcune passerelle per
creare gli ambienti.
Il lavoro di regia, qui ripreso da Maria Lamont, giocato su
sguardi e piccoli gesti è davvero toccante, preciso nota per nota, come un
orologio svizzero. Suggestivi oltre ogni misura sono anche gli effetti luci
disegnati dallo stesso Carsen e da Peter Van Praet.
Efficacissimi i costumi di Patrick Kinmonth coi quali
contribuisce ulteriormente a dipingere la società provinciale in cui Kát'a si
sente eccessivamente costretta e imprigionata.
Davvero lodevoli le numerose ballerine, con la coreografia di
Philippe Giraudeau, che a tratti sembrano rappresentare l'anima del
fiume, a momenti paiono suggerire lo spirito di tante altre donne che hanno
vissuto il medesimo destino della protagonista.
Eccellente la direzione di Marco Angius che, oltre alla
precisione, alla puntualità, alla purezza del suono dell'Orchestra del
Teatro Regio, sembra possedere l'anima del compositore, riuscendo a
trasmettere una miriade di cromatismi attraverso cui scaturisce l'angosciosa
vicenda della povera Kát'a, interpretata dalla bravissima
Andrea Dankova.
Il soprano slovacco è una specialista del ruolo e lo si nota chiaramente in
ogni sfaccettatura dell'interpretazione. Già applaudita in Italia in Jenůfa
a Bologna e Palermo, anche a Torino riceve un meritatissimo successo personale,
poiché oltre alla sicurezza vocale, riesce a portare in scena tutte le emozioni
che sovrastano e poi travolgono la protagonista.
È affiancata da una bravissima Lena Belkina, Varvara,
sognatrice limpida e innocente, e da una malvagia Rebecca de Pont Davies,
Kabanicha, che si sarebbe preferita più drammatica da un punto di vista
puramente vocale.
Molto buona la resa dei tenori, a partire dal rassegnato Tichon di
Å tefan Margita, seguito dal sognatore Boris di
Misha Didyk e dal candido e semplice KudrjáÅ¡ di Enrico
Casari.
Ottimo anche Oliver Zwarg nei panni del burbero Dikoj.
Efficenti anche le parti di contorno: LukáÅ¡ Zeman è
Kuligin, Lorena Scarlata è GláÅ¡a, Sofia
Koberidze è FekluÅ¡a, Roberta Garelli è una
donna tra la folla.
Benissimo anche il piccolo intervento del Coro diretto da Claudio
Fenoglio.
Successo sentito per tutti gli artisti, in particolar modo per
Dankova e Angius.
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