Il celebre spettacolo di David McVicar prodotto a Londra nel
2004 arriva a Firenze rispondendo positivamente alle numerose aspettative,
soprattutto perché di questi tempi è difficile assistere in Italia a spettacoli
così grandiosi se non in rare eccezioni.
Nonostante l'allestimento sia molto classico e tradizionale, con le scene
imponenti di Charles Edwards e i preziosi costumi di
Brigitte Reiffenstuel ripresi da Anna Watkins, resta
efficacissimo grazie al minuzioso lavoro di regia che prevede movimenti, gesti,
sguardi, anche intere azioni da parte dei numerosi attori - cantanti solisti,
cori, danzatori e figuranti speciali - in ogni momento della lunga partitura.
Eccellenti le coreografie di Michael Keegan-Dolan riprese da
Rachel Poirier che fondono classico e contemporaneo in un
amalgama perfetto con la musica di Gounod e la visione di
McVicar. Più deboli le luci di Paule Constable
riprese da John Percox, apparentemente più orientate alla mera
illuminazione che non alla creazione di suggestione.
Ottima la direzione di Juraj Valčuha che sa mantenere sempre
molto compatta l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino,
attento al suono e alla raffinatezza del gusto francese, pur non prediligendo
colori passionali - se non in quinto atto - tali da far decollare la recita con
grande slancio. Eccellente il Coro preparato da Lorenzo Fratini.
Wookyung Kim è un Faust dotato di bella voce
squillante dal colore suadente e timbro luminoso, ma spesso impreciso, con
qualche acuto scricchiolante - soprattutto negli attesi “Je t'aime” e
in quelli di “Demeure chaste et pure” - e qualche perdita d'appoggio -
non solo per il cantante, ma anche per gli archi che lo accompagnano alla fine
della celebe aria.
Carmela Remigio ridona finalmente il giusto colore al ruolo
di Marguerite, troppo spesso affidato a vocalità leggere che fanno
perdere l'accento drammatico in quarto e quinto atto, oltre che nella canzone
del “Roi de Thulé”, ma non riesce a brillare come si deve nell'aria dei
gioielli.
Paul Gay interpreta un ottimo Méphistophélès,
soprattutto per il fraseggio ben rifinito oltreché molto intenso. Il canto è
altresì molto corretto anche se si sarebbero preferiti certi acuti più luminosi.
Serban Vasile è un Valentin piuttosto efficacie,
molto più a suo agio con le tinte drammatiche di atto quarto che non con il
lirismo e la lucentezza necessari a rendere al meglio le pagine del secondo.
Laura Verrecchia è un appropriato Siebel,
Gabriella Sborgi una buona Marthe e Karl Huml
un adeguato Wagner.
Successo strepitoso per tutti al termine dell'ultima recita in cartellone.
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