Il vero protagonista di Pagliacci di Ruggero Leoncavallo,
andato in scena al Teatro Regio di Torino senza alcun
abbinamento in dittico con altri titoli, è indubbiamente Nicola
Luisotti.
La sua lettura della partitura è straordinariamente ricca di colori,
soprattutto ricca di emozioni, riuscendo a dipingere in musica ciò che sentono i
personaggi e che è descritto nelle loro parole e nelle loro azioni.
Altrettanto eccellente sono l'Orchestra, che si prodiga in suoni pulitissimi,
in legati dolcissimi, in fraseggi intensissimi, e l'ottimo Coro guidato da
Claudio Fenoglio, sia sotto il profilo vocale e musicale, sia
per ciò che riguarda la recitazione nella complessa mise-en-scène, che lo vuole
componente viva e attiva per tutto il tempo.
A tale proposito lodevole è il lavoro di Gabriele Lavia, che
studia gesti, sguardi, movimenti, azioni, primi e secondi piani, controscene, in
tutto e per tutto, in un continuo flusso che non permette neppure di mettere a
fuoco tutto quanto, proprio così, come avviene nella vita di tutti i giorni.
Molto ben realizzate la scenografia e i costumi di Paolo Ventura,
che crea abilmente il clima del secondo dopoguerra, il tutto arricchito dalle
luci efficacissime di Andrea Anfossi.
Francesco Anile, subentrato nel ruolo di Canio già
da qualche recita in sostituzione degli altri tenori indisposti, si prodiga come
suo consueto in una emissione in acuto molto luminosa e ben impostata in avanti,
ma sotto tende spesso al parlato e talvolta manca l'appoggio.
È invece sempre intonatissima e con uno stile di canto perfettamente lineare
il soprano Erika Grimaldi, che nella parte di Nedda
dimostra anche ottime doti di fraseggio e recitazione, ma si nota una certa
debolezza nei passaggi più bassi.
Il prologo di Roberto Frontali vale da solo il viaggio a
Torino: liricissimo, musicalissimo e brillantissimo; entusiasmante, struggente e
intensamente cinico. Inoltre esprime ogni frase pronunciata da Tonio
con un fraseggio che va ben oltre il verismo e la parola scenica: la sua è una
prova di livello irraggiungibile. E la conclusione “La commedia è finita!”
fa letteralmente rimbalzare il cuore e raggelare il sangue nelle vene.
Molto buona anche la prova dell'Arlecchino di Juan José
de Léon, ma con un vibrato un poco prepotente. Piacevolmente
morbido e musicale il Silvio di Andrzej Filonczyk.
Ben adeguati i contadini di Vladimir Jurlin e Sabino Gaita.
Eccellenti mimi, trampolieri e giocolieri.
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