Il Teatro Regio di Parma inaugura la sua breve
Stagione Lirica 2017 con un nuovo allestimento di Anna Bolena,
in un progetto con il Teatro Carlo Felice di Genova che
coinvolge anche gli altri titoli del ciclo Tudor di Gaetano Donizetti.
Sul podio dell'Orchestra Regionale dell'Emilia Romagna è Fabrizio
Maria Carminati, direttore generalmente molto capace e particolarmente
adatto al grande repertorio, ma che in questa occasione appare inadeguato e
piuttosto grossolano, con tempi poco comprensibili e nessuna chiara intenzione,
con assenza di colori e sfumature. La versione scelta prevede solo alcuni dei
tagli di tradizione ed è un'occasione sprecata non averne approfittato per
eseguire l'integrale, utilizzando l'edizione critica pubblicata lo scorso anno
dalla Fondazione Donizetti.
Lo spettacolo di Alfonso Antoniozzi, con scene e video
design di Monica Manganelli, si avvale del medesimo impianto
fisso del Devereux genovese, ma qui ambientato nei moderni anni
Quaranta. Si tratta di un allestimento molto semplice, ma abbastanza fotogenico
e funzionale; purtroppo gi spazi sono spesso vuoti e la magia dell'effetto
cartolina lascia il passo alla noia. Sicuramente il libretto di Romani non
aiuta, rivolto più ai sentimenti che non all'azione, ma qualche gesto in più,
qualche controscena, un po' di cambi negli effetti video, probabilmente
avrebbero reso questa Bolena meno monotona. Le idee ci sono, interessanti, anche
piuttosto comprensibili, ma poco sviluppate lungo il procedere della vicenda.
Pure i costumi di Gianluca Falaschi non sono azzeccatissimi:
se ne riconosce la pregevole fattura, ma inseriti in questo contesto fanno
sembrare Anna una bella signora qualunque, Giovanna la sua
governnte ed Enrico un pappone, già sufficientemente mortificato da una
regia che lo impone così distaccato da mostrare solo altra immobilità.
Yolanda Auyanet, inizialmente un poco tesa, si è dimostrata
molto volenterosa e col suo consueto fare morbido ed omogeneo si è impegnata in
una recita in crescendo, arrivando ben concentrata al drammatico finale reso col
giusto effetto, buona intenzione e ottima intonazione. La sua tecnica le
permette di domare la difficile parte di Anna, ma non trasmette
quell'incanto che dovrebbe traspirare dalla luminosità della voce e non fa
trattenere i fiato quando è impegnata nel virtuosismo.
Sonia Ganassi veste i panni di Giovanna con estrema
disinvoltura e il suo agio lo si percepisce per tutto il tempo. L'esperienza nel
ruolo e l'ottima tecnica di base le hanno permesso di ottenere un buon
risultato, pur con qualche difficoltà nella cavatina e altri brevissimi momenti
un poco stimbrati.
Giulio Pelligra sostituisce all'ultimo minuto l'indisposto
Maxim Mironov e l'impaccio è chiaramente visibile - ma
perdonabile - cui si aggiungono qualche stonatura e diverse parole inventate.
Tutto sommato riesce a portare a casa un Percy dignitoso.
Marco Spotti è il bravo cantante di sempre, ma il suo bel
timbro cavernoso, il suo volume molto importante e il suo stile personale male
si amalgamano al belcanto di Auyanet e Ganassi.
Indubbiamente il suo Enrico VIII sarebbe stato perfetto se affiancato a
due protagoniste dalla vocalità più scura e drammatica, mentre così riesce ad
esprimere il suo consueto carattere solo durante i pezzi d'assieme.
Martina Belli è un ottimo Smeton, dotata di buona
musicalità, linea di canto omogenea, belle note basse e altrettanto piacevole
nelle colorature.
Efficaci, pur con qualche neo, il Rochefort di Paolo
Battaglia e Hervey di Alessandro Viola che
sostituisce Pietro Picone.
Finalmente il Coro del Teatro Regio diretto da
Martino Faggiani ritorna nel pieno del suo splendore: suoni eccellenti,
fraseggi eloquentissimi, accenti ben marcati, sussurrati emozionanti, ma
soprattutto encomiabile l'uso della parola scenica che dà vita a delle pagine
che sono perlopiù un resoconto narrativo.
Buon successo per tutti gli interpreti, con ovazioni per Auyanet,
Ganassi e Spotti. Diversi dissensi per il
direttore, come pure per tutta la squadra creatrice dello spettacolo.
Contrariamente a quanto si possa pensare, i loggionisti hanno riferito che non
hanno protestato lo spettacolo perché non realizzato in epoca rinascimentale, ma
principalmente a causa della noia, complice la direzione d'orchestra.
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