Dopo la forzata cancellazione della nuova produzione de La rondine
di Giacomo Puccini, il Teatro Carlo Felice di Genova
inaugura la Stagione 2016-2017 con La traviata di Giuseppe Verdi
nel nuovo spettacolo firmato da Giorgio Gallione.
Mettere in scena l'opera che più di tutte, nel corso degli ultimi trenta
anni, è stata oggetto delle più svariate interpretazioni e trasposizioni non è
affare semplice. Tutt'altro. È tanto difficile costruire nuove idee, come
superare gli allestimenti classici dei grandi registi del passato.
Gallione riesce a realizzare un dramma godibile, poiché
conosce bene il suo lavoro, pertanto sul palcoscenico succede sempre qualcosa
che mantiene viva l'attenzione del pubblico. Ma lo fa mescolando tra loro
vecchie idee già viste e rivisitate: Violetta che muore nel preludio e
rivive la vicenda come una sorta di flashback; il simbolismo dell'arbusto di
camelia sfiorito e senza foglie; le mele rosse; lo specchio infranto; il coro
alla Magritte e altre ancora.
Ottima la realizzazione delle scene e dei costumi di Guido Fiorato,
di buona fattura e pertinenti ai concetti sviluppati. Eccellenti e suggestive le
luci di Luciano Novelli. Meno interessante la coreografia di
Giovanni Di Cicco, poiché totalmente avulsa dall'elegante stile
utilizzato per il resto del racconto.
Massimo Zanetti è sul podio della brava e precisa
Orchestra del Teatro Carlo Felice. La sua lettura della partitura non
dà particolari spunti interpretativi, ma compie un buon lavoro di guida e
accompagnamento.
Molto positiva è anche la prova del Coro diretto da
Franco Sebastiani, ma è da segnalare un breve fuori tempo nella pagina
dei mattadori e successivamente in “Oh, infamia orribile”.
Se è complesso mettere in scena una Traviata originale, ancora più complicata
è la scelta della giusta protagonista. Occorre innanzitutto partire dal
presupposto che la parte di Violetta sarebbe scritta per soprano
drammatico di agilità, ma che negli ultimi venti anni i teatri di tutto il mondo
l'hanno quasi sempre affidata a soprani più leggeri, favorendo soprattutto la
riuscita di “Follie… Sempre libera” con i suoi do sopracuti e il mi
bemolle finale, ma andando a perdere lo spessore delle numerosissime note basse
che, anche se fossero emesse correttamente - ma dai più sono generalmente
eseguite con suoni distorti o schiacciati o poco sostenuti - perdono comunque di
intensità.
Detto ciò, all'interno di una lunga serie di protagoniste di coloratura,
Desirée Rancatore è in assoluto una delle migliori interpreti
di questo ruolo, poiché il fraseggio, gli accenti, l'uso dei colori, ma
soprattutto la parola scenica, provengono dal suo animo più profondo. “Addio
del passato” è un momento sinceramente sentito e davvero toccante, al
termine del quale il soprano riceve un meritatissimo successo personale.
Giuseppe Filianoti, pur possedendo ancora una bellissima
voce, limpida e allo stesso tempo pastosa, presenta qualche problema in appoggio
e il suo Alfredo, in alcuni punti, non è perfettamente intonato. Si
riscontra poi una difficoltà in acuto durante l'aria e pare essere solo un
momento; ma ciò accade ancora durante la cabaletta e il finale secondo e prima
dell'inizio del terzo atto il tenore è annunciato indisposto e sostituito da
William Davenport che conclude l'opera.
Vladimir Stoyanov è Germont e finalmente lo si
riascolta col vigore e la brillantezza di un tempo. Di primo livello il duetto
con Rancatore, eccellente "Di Provenza" dove il baritono esprime tutta
la sua capacità di fraseggio, impreziosito di colori e sfumature toccanti.
Daniela Mazzucato è un'Annina di lusso;
Marta Leung è una Flora soddisfacente; Didier Pieri
è un Gastone accettabile seppur con alcune riserve;
Manrico Signorini pare indisposto poiché sembra un Dottor Grenvil
dalla voce traballante e usurata; Paolo Orecchia è un
Barone passabile; Stefano Marchisio è un ottimo
Marchese. Completano i non troppo efficaci Giuseppe di
Maurizio Raffa, domestico di Alessio Bianchini
e commissionario di Matteo Armanino.
Grande successo per una prima emozionante, soprattutto per Desirée
Rancatore e Vladimir Stoyanov. Qualche dissenso per la
squadra creativa dello spettacolo.
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