Dopo quasi un ventennio di assenza dal palcoscenico del Teatro Regio,
l'opera più impegnativa di Giuseppe Verdi torna a Parma nella
versione in quattro atti.
Il celebre grand-opéra è stato escluso dai festeggiamenti del 2001 e del 2013
e si è dovuto attingere ad un'altra produzione per la realizzazione dei
cofanetti “Tutto Verdi”. Considerata la lunga attesa i melomani
più agguerriti si aspettavano l'edizione integrale, magari in francese, mentre
hanno dovuto accontentarsi.
Lo spettacolo di Cesare Lievi è ambientato in un immaginario
mausoleo di Carlo V d'Asburgo e, per come è disposto l'impianto di regia,
acquisisce un maggior senso la decisione di rappresentare l'opera in quattro
atti: tutto inizia e tutto finisce ai piedi della tomba dell'Imperatore, che
pare rivivere attraverso un frate.
In tal contesto risultano molto efficaci le scene di Maurizio Balò,
ma si va a perdere completamente il fasto che dovrebbe adornare i giardini della
regina e la scena dell'autodafé. Meno apprezzabili sono i costumi, sempre di
Maurizio Balò, poco caratterizzati e dettagliati, con riferimenti ad una moda
generica che va dal XV al XVIII secolo e visibilmente low cost. Forse la mano
della sartoria è stata trattenuta dal budget a disposizione.
Per quanto riguarda la parte musicale si segnalano le consuete debolezze
nelle varie sezioni dei fiati della Filarmonica Arturo Toscanini,
difetti non certo risolti né affievoliti dalla direzione di Daniel Oren,
che è sempre Maestro di interpretazione guerresca, ma qui risulta grossolano,
scoordinato e in alcuni punti fuori stile, ad esempio sembra cercare di voler
trasformare in cabaletta la parte conclusiva del duetto Posa Filippo.
Manca inoltre di omogeneità col palcoscenico e sembra che ognuno degli artisti
canti per sé, senza uniformità e compattezza con i colleghi.
José Bros, celebre tenore universalmente riconosciuto come
uno dei migliori belcantisti, soprattutto nel repertorio belliniano e
donizettiano, veste i panni di un Don Carlo squillantissimo e dimostra
chiaramente di poter esprimere qualcosa attraverso questo ruolo se eseguito
nelle giuste condizioni. In effetti si possono notare alcune piccole forzature
quando orchestra e colleghi fanno la voce grossa, mentre è totalmente a suo agio
nei momenti in cui può manifestare un carattere più intimo, giocato sui colori e
sulle sfumature.
Non è un caso che la parte migliore della serata sia l'ultimo atto, grazie
anche all'interpretazione di Serena Farnocchia nel ruolo di
Elisabetta. Il soprano manca di qualche accento drammatico, non ha un
timbro particolarmente morbido e non possiede una zona centrale sufficientemente
ampia, ma è musicalissima, tecnicamente ferrata e dotata di un'ottima linea di
canto, molto omogenea.
Anche il Filippo II di Michele Pertusi non ha il
caratteristico spessore regale previsto per il ruolo, né la giusta autorità,
tanto da sembrare sempre impaurito o in difetto al cospetto degli altri
personaggi, ma ragionando in termini di canto, la sua è sempre una lezione: i
suoni bellissimi, i passaggi armoniosi, i fiati lunghi, i legati addirittura
commoventi, le note piegate alle parole. Ecco perché nella pagina in cui davvero
deve essere atterrito e intimorito, ovvero nel quartetto con Elisabetta,
Eboli e Posa, risulta eccellente oltre ogni misura.
Vladimir Stoyanov, nei panni del Marchese di Posa,
mostra gli stessi pregi e difetti che lo contraddistinguono negli ultimi tempi:
fraseggio elegante, linea di canto raffinata, ma con un suono spesso opaco,
sbiancato e talvolta addirittura sfibrato, tanto da sembrare usurato. Inoltre ci
si sarebbero aspettati qualche trillo e qualche appoggiatura in più.
Marianne Cornetti è una Eboli dalla vocalità molto
stentorea e soprattutto intelligente, poiché sa come mascherare alcune delle sue
lacune. Purtroppo solo in parte, poiché non può nascondere una linea di canto
ormai zoppicante che non può, neppure con la migliore delle volontà, riuscire
nella canzone del velo. Nelle altre pagine non deve affrontare le agilità, ma
comunque risulta disomogenea e se non carica, il suono esce velato.
Ievgen Orlov è un Grande Inquisitore eccessivamente
discontinuo, che non è spendibile in Italia, tantomeno a Parma; Simon
Lim è un frate accettabile, un po' in difficoltà nelle note
più estreme, sia in basso sia in alto; Lavinia Bini è un buon
Tebaldo, come pure Gregory Bonfatti è un valido
Conte di Lerma e Araldo Reale; efficace la Voce dal cielo
di Marina Bucciarelli.
Non particolarmente incisivi i deputati fiamminghi di Daniele Cusari,
Andrea Goglio, Carlo Andrea Masciadri, Matteo Mazzoli, Alfredo Stefanelli,
Alessandro Vandin.
Buona, ma non eccellente come di consueto, la prova del Coro del
Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani.
|