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Recensione opera Giovanna d'Arco di Giuseppe Verdi al Festival Verdi di Parma

William Fratti, 06/10/2016

In breve:
Parma - Recensione dell'opera lirica Giovanna d'arco di Giuseppe Verdi in scena la Teatro Farnese il 30 settebre 2016 al Festival Verdi di Parma.


Dopo una breve assenza durata solo un paio di edizioni, il Festival Verdi torna a far vivere la prestigiosa cornice del Teatro Farnese, gioiello ligneo dell'architettura barocca unico al mondo.

Nelle precedenti occasioni si erano riscontrati, come previsto, diversi problemi di acustica dovuti soprattutto alla conformazione del pavimento e alla mancanza della copertura del sottotetto, andato perduto. Ma quest'anno è stata apportata una eccellente miglioria: le gradinate - scomode e alquanto pericolose per il pubblico - sono diventate la scenografia naturale dello spettacolo; una piccola porzione della platea è stata adibita a golfo mistico, con l'aggiunta di una pedana che funge da palcoscenico; sulla restante parte della platea e del palcoscenico originale è stata costruita una struttura in legno che non solo ospita gli spettatori più comodamente, ma funge da cassa di risonanza e migliora l'acustica. È un vero peccato che non si sia pensato anche di appendere dei pannelli in legno fonorifrangenti laddove si sono posizionate le americane, poiché ciò avrebbe ulteriormente contribuito a un più valido risultato.

Lo spettacolo di Saskia Boddeke e Peter Greenaway inizia nel migliore dei modi: già dalla sinfonia i meravigliosi archi che sovrastano le gradinate del Teatro Farnese si illuminano e si dipingono attraverso videoproiezioni a cura di Elmer Leupen e Peter Wilms che sembrano raccontare la musica di Giuseppe Verdi oltre alla storia di Giovanna d'Arco.

Entrano il Coro e il Re Carlo VII e già si notano i primi problemi: l'interprete in scena è goffo e impacciato, non certo perché incapace, ma evidentemente lasciato a se stesso, nel vuoto assoluto, senza un gesto o uno sguardo studiati a dovere. Lo stesso vale per il personaggio di Giovanna. Poco dopo iniziano a crollare anche le proiezioni: ciò che sembrava essere l'elemento vincente della messinscena si presenta come un'accozzaglia eccessivamente eclettica di simboli e simbolismi che generano solo confusione.

Il lavoro di regia sui solisti rasenta il nulla e la coreografia di Lara Guidetti, pur avendo un suo buon valore se considerata fine a se stessa, è altro elemento fuorviante e ben difficile da comprendere, soprattutto non trasmette emozioni in questo preciso contesto.

I costumi di Cornelia Doornekamp sono poco più di tuniche bianche e le scene di Annette Mosk sono forse la pedana circolare e dei cubi bianchi e neri che nel finale vengono montati per formare una parete con una croce su di un lato.

Le luci sono di Floriaan Ganzevoort.

Come sempre ottima è la prova del Coro del Teatro Regio di Parma guidato da Martino Faggiani, che qui si impone come vero protagonista.

Molto buona anche l'esecuzione de I Virtuosi Italiani diretti da Ramon Tebar, che mostra una mano salda e sicura, con una certa capacità di fraseggiare. Alcuni accenti avrebbero potuto essere più marcati, ma ciò si potrebbe imputare all'acustica della sala.

L'interpretazione scenica dei singoli personaggi, come già sottolineato, è da considerarsi insufficiente, molto probabilmente a causa delle scelte di regia, mentre il lavoro in termini vocali è da valutarsi molto bene.

Ci sono imprecisioni e passaggi da correggere e migliorare, ma si tratta pur sempre di una prova.

Vittoria Yeo dimostra di possedere un bel timbro, che pare particolarmente adatto al ruolo di Giovanna e a questo tipo di repertorio; soprattutto il suono è molto ben proiettato e corre ovunque.

Molto piacevoli sono lo smalto e la pastosità di Luciano Ganci nei panni di Carlo.

Sempre ottimo il fraseggio di Vittorio Vitelli che qui veste i panni di Giacomo.

Pure efficaci il Delil di Gabriele Mangione e il Talbot di Luciano Leoni.

 
 
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