Fare Rossini con la R maiuscola al di fuori di Pesaro è un
progetto assai ambizioso in termini di stile e di intenzione.
Negli ultimi trentasette anni il ROF e l'Accademia Rossiniana diretta
da Alberto Zedda si sono imposti come punto di riferimento per lo
studio dell'interpretazione del compositore pesarese e devono essere presi come
base architettonica su cui costruire ogni tipo di esecuzione. Il Rossini serio
soprattutto è affare assai arduo e audace e l'intento, l'accento, l'espressione
di ciascuno degli artisti coinvolti vale certamente non poco.
In questa felice occasione, all'inaugurazione della Stagione 2016/2017 dell'Opera
di Firenze, ci si avvale innanzitutto di uno degli ultimi spettacoli di
un vero regista rossiniano, Luca Ronconi, che negli anni della
Rossini Renaissance è stato in grado di condurre alla
portata del pubblico moderno dei titoli altrimenti difficilmente
rappresentabili.
Questa sua Semiramide non ha alcuna pretesa, non è
mastodontica, non è spettacolare, non è eccessivamente tradizionale né
contemporanea. Impiega pochi elementi scenici al fine di lasciare spazio alla
parola, a costo di sembrare fin troppo scarna.
In questo lavoro della maturità il compositore è voluto ritornare sulle
proprie orme, verso schemi musicali che ormai stava abbandonando, per incontrare
i gusti di un pubblico diverso e senza saperlo ha aperto le porte ai grandi
drammi dei suoi successori - si pensi a Norma e Nabucco
- prediligendo modelli ormai consolidati a discapito di alcune novità che da
qualche tempo stava sperimentando. E la regia di Ronconi sembra proprio seguire
questo filo conduttore: un ritorno al classico per rappresentare il moderno.
Eccellente è il lavoro di adattamento operato da Marina Bianchi e
Marie Lambert, sulle suggestive scene di Tiziano Santi
e con i piacevoli costumi di Emanuel Ungaro sapientemente
ripresi e riassestati sui nuovi interpreti da Maddalena Marciano,
con le belle luci di AJ Weissbard qui riviste da Pamela
Cantatore.
Il lavoro di concertazione svolto da Antony Walker, che non
può essere certamente considerato un rossiniano puro, né la sua lettura del
dramma potrà mai passare negli annali, è buono in termini di accento,
soprattutto nel colore, anche se talvolta manca di nervo, ma sulla lunga
partitura riesce a dare un significato univoco, omogeneo e compatto.
Lo segue molto bene l'eccellente Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino - fatta eccezione per qualche piccolo neo dei corni, ma con
certi passaggi dei violini davvero superbi - come pure il superlativo
Coro diretto dal bravo Lorenzo Fratini.
Jessica Pratt, il vero interesse di questa occasione, veste
i panni di una buona Semiramide, la cui tessitura è giustamente
arricchita di variazioni verso l'alto per renderla più consona alle sue corde.
La bravissima cantante forse manca un poco di autorevolezza e di accento
drammatico, ma sa cantare, sa quello che fa col suo strumento e rende una regina
babilonese, almeno dal punto di vista vocale, davvero piacevole. Il tempo
renderà la sua interpretazione indubbiamente più adeguata e vitale.
Forse il personaggio maggiormente reso più interessante è l'Arsace
di Silvia Tro Santafé, nelle cui vene scorrono maggiormente il
sangue di Bellini e Donizetti piuttosto che quello di Rossini, ma possiede una
musicalità, una capacità d'accento e soprattutto un fraseggio davvero
invidiabili. Inoltre la sua voce corre anche nell'immensa sala sorda dell'Opera
di Firenze, facendo notare ancor meglio la sua precisione, il suo vigore,
oltreché il suo bel timbro.
Ottimo il colore dell'Assur di Mirco Palazzi, che
inizialmente appare debole e con poco nervo, oltreché calante, ma subito dopo
l'introduzione dimostra la pasta di cui è fatto, che trova forza e compimento
nella bella scena della pazzia prima del finale secondo.
Davvero buona la resa dell'Idreno di Juan Francisco Gatell,
che si prodiga nell'introduzione, ma soprattutto nelle due terribili arie a lui
affidate, con estrema perizia. Anche per lui certi passaggi sono perfettibili,
ma nel complesso la sua prova è sinceramente di altissimo livello.
Molto buono anche l'Oroe di Oleg Tsybulko, in netto
miglioramento rispetto al Ciro di Pesaro.
Efficaci l'Azema di Tonia Langella e il Mitrane
di Andrea Giovannini. Ottimo in acuto, impreciso e traballante
in basso, il Nino di Chanyoung Lee.
Applausi e ovazioni, da un teatro vicino al tutto esaurito, per tutti gli
interpreti al termine della lunga rappresentazione, che giustamente è stata
proposta nell'edizione critica curata da Philip Gossett e Alberto Zedda.
Scontenti gli irriducibili affezionati alle grandi dive del passato.
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