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Recensione opera Carmen di Georges Bizet al Teatro Regio di Torino

William Fratti, 22/09/2016

In breve:
Torino - Recensione dell'opera Carmen di Georges Bizet in scena al Teatro Regio di Torino il 26 giugno 2016.


Considerato uno dei direttori wagneriani più raffinati dei nostri tempi, Asher Fisch non ha disatteso le forti aspettative del pubblico torinese. L'accento drammatico con cui ha intriso la partitura di Carmen, anche nel mezzo degli elementi più folcloristici, ha decisamente colpito nel segno, risultando intenso, vibrante e particolarmente emozionante.

 Gli archi con cui ha aperto l'opera sono stati un chiaro biglietto da visita. I suoni puliti, mai sovrastanti, la scelta dei tempi e dei volumi, sapientemente usati per intensificare l'accento, hanno davvero entusiasmato tutto il pubblico.

Purtroppo lo stesso non vale per lo spettacolo proveniente da Zurigo firmato da Matthias Hartmann e da una lunga squadra di collaboratori - Volker Hintermeier alle scene, Su Bühler ai costumi, Martin Gebhardt alle luci - che si sono prodigati nel mettere in scena il nulla.

L'impianto scenografico è composto da una desolante pedana circolare in declivio e da pochissimi altri elementi, allestimento che avrebbe potuto sortire qualche effetto in una piazza di provincia durante una rappresentazione all'aperto. I costumi vintage sono pure tristi; la sola nota positiva è che hanno perlomeno un senso con la trasposizione voluta dal regista.

Le luci funzionano, ma non sanno dare alcun tono di suggestione. La regia è pressoché inesistente: qualche movimento dei cori, qualche coreografia, il resto sembra uno spettacolo messo in piedi in giornata, con qualche prova al pomeriggio come fanno le compagnie itineranti.

Anche le aspettative per il ritorno di Anna Caterina Antonacci erano molto alte, sfortunatamente superate solo in parte. La celebre artista ha classe da vendere e la sua raffinata interpretazione di Carmen è di ottimo gusto, seppur mancando di passionalità in alcuni momenti, come nell'aria “Près des remparts de Séville”. La voce invece non possiede più lo smalto di un tempo e numerosi sono i passaggi pressoché parlati piuttosto che cantati.

Molto buona è la prova di Dmytro Popov nei panni di Don José, dotato di timbro leggero ben poggiato e saldo sulle note più basse. Ottima l'intonazione e molto buoni i pianissimi, rende molto bene la famosa “La fleur que tu m'avais jetée” col solo appunto di mancare nello stile italiano e francese del canto sul labbro, e si sente molto la gola.

Irina Lungu piace sempre moltissimo al pubblico torinese, ma la sua Micaëla non è da considerarsi oltre la sufficienza. Così come lo scorso anno in Marguerite, pur cantando correttamente, manca di corposità: soprattutto l'aria di terzo atto, ancor più del duetto del primo, è troppo pesante e oltre le sue possibilità timbriche.

Anche Vito Priante rende un Escamillo adeguato ed efficace, ma nulla di più. È corretto, ma poco brillante e parco nel fraseggio.
La Frasquita di Anna Maria Sarra e la Mercédès di Lorena Scarlata Rizzo sono abbastanza musicali e ciò contribuisce positivamente alla buona resa del bel quintetto “Nous avons en tête un affaire”, ma entrambe le vocalità sono un po' troppo flebili per lasciare un segno negli altri punti della partitura.

Molto buono il contributo del Dancaïre di Paolo Maria Orecchia e del Remendado di Luca Casalin.

Ottimo lo Zuniga di Luca Tittoto, che si vorrebbe udire in parti di maggior prestigio, mentre poco intonato è il Moralès di Emilio Marcucci.

 
 
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