Le opere considerate minori di Umberto Giordano, così come
quelle di altri autori italiani del primo Novecento, fanno parte di quel
repertorio purtroppo bistrattato, anche se sarebbe decisamente interessante
averle più spesso nei cartelloni dei palcoscenici europei. È una gioia trovare
La cena delle beffe nella stagione della sala del Piermarini,
anche se si è consapevoli dei numerosi rischi che si corrono nel mettere in
scena un titolo così poco rappresentato oltreché di difficile esecuzione.
Non si lascia intimorire Mario Martone che abbandona
l'originale ambientazione rinascimentale a favore di una più attuale - e
decisamente cinematografica - trasposizione a Little Italy, dove abiti gessati,
spaghetti al pomodoro, rivoltelle e qualche piuma di uccello esotico rendono
questa cena davvero appassionante.
Complice il bellissimo allestimento con scene di Margherita Palli,
che conduce la vicenda dal ristorante di Tornaquinci alle stanze di Ginevra al
piano di sopra, fino alle cantine dove è rinchiuso il povero Neri.
Eccellenti nel disegno e di pregevole fattura i costumi di
Ursula Patzak.
Piacevoli le luci di Pasquale Mari.
In definitiva l'amalgama creato da Mario Martone rende lo
spettacolo un perfetto lavoro per la tv e il cinema, che nella prima parte
lascia lentamente entrare il pubblico, per poi condurlo in una serie di emozioni
convulse, travolgenti e a tratti catartiche nella seconda e nel forte finale,
degno de Il padrino e Boardwalk Empire.
Indiscusso protagonista musicale è Carlo Rizzi, che dirige
con estrema precisione e chiarezza d'intento l'Orchestra del Teatro alla
Scala che si prodiga in un'esecuzione pulitissima e dai suoni
cristallini. Il fraseggio orchestrale voluto da Rizzi, i
cromatismi e le sfumature con cui conduce questo Giordano
avaro, quasi privo di melodie accattivanti, sono di altissimo livello e la presa
emotiva è davvero forte.
La difficilissima parte di Giannetto è affidata a Marco
Berti, che mette in mostra i suoi acuti smaltati e svettanti, ben
posizionati in avanti e generosi per tutta la durata dello spettacolo. Purtroppo
la zona medio grave non è della medesima bellezza, denotando una linea di canto
un poco approssimativa e a tratti stonacchiata.
È invece lontano da ogni imperfezione il Neri di Nicola
Alaimo, dotato di una vocalità ben timbrata anche nei piani, morbida e
omogenea dalla nota più alta fino a quella più bassa, impreziosita di un
fraseggio eloquente e ben rifinito che sa farsi notare anche grazie ad un
sapiente uso dei colori.
Non male la Ginevra di Kristin Lewis che risulta
vocalmente migliore rispetto sue precedenti performance. Resta il fatto che non
si capisce una parola e che i piani sono spesso coperti dal peso orchestrale.
Anche Jessica Nuccio, nei panni di Lisabetta, appare
più adatta che in altri ruoli.
Positiva anche la prova di Bruno De Simone nelle vesta del
dottore.
Adeguati gli altri comprimari: il Gabriello di Leonardo
Caimi, il Tornaquinci di Luciano di Pasquale,
il Fazio di Frano Lufi, la Cintia di
Chiara Isotton, il Lapo e il cantore di
Edoardo Milletti, nonché i solisti dell'Accademia di
Perfezionamento per Cantanti Lirici del Teatro alla Scala:
Giovanni Romeo, Chiara Tirotta, Federica Lombardi, Francesco Castoro.
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