Il Teatro Municipale di Piacenza conclude la
Stagione Lirica 2015-2016 nel segno del successo, dimostrando ancora
una volta di essere tornato a produrre spettacoli di alto livello, degni di
interesse internazionale.
Per l'occasione il capolavoro pucciniano è diretto con vigore e passione da
una delle bacchette oggi maggiormente impegnate su questo repertorio,
Valerio Galli, che forse non riesce ad ottenere una perfetta pulizia di
suono, ma indubbiamente sa far entrare l'ascoltatore nel dramma.
Il bravo Maestro guida con impeto e fermezza di polso l'Orchestra
Regionale dell'Emilia Romagna, che inizialmente sembra un po'
pasticciona, soprattutto negli ottoni e particolarmente nei corni, ma
fortunatamente si riprende col procedere della vicenda.
La regia di Sandro Pasqualetto è abbastanza noiosa, monotona
e pressoché immobile, concentrata su una sorta di staticità da cartolina che va
ad escludere molte delle didascalie del libretto di Illica e Giacosa.
Gli interpreti sono posizionati quasi in una formazione da concerto, mentre
sono apprezzabili i movimenti di mimi e figuranti che legano sapientemente le
scene alle controscene. Leggendo le note di regia si desume che
Pasqualetto non è stato in grado di raggiungere gli scopi prefissi,
anche se la ragione non è molto chiara, poiché il risultato ottenuto è stato
solo il nulla.
Molto piacevole è invece l'allestimento progettato da Christoph
Wagenknecht e Catherine Voeffray, poi curato da Pasqualetto
e Rosanna Monti anche nei bei costumi, impreziosito dalle luci
suggestive di Claudio Schmid.
Si è già parlato decine di volte dei personaggi pucciniani interpretati da
Amarilli Nizza e c'è il rischio di ripetersi, poiché anche in
questa occasione la cantante scompare e resta solo Cio-Cio-San con la
sua fragilità, la sua ingenuità, il suo immenso dolore. Amarilli Nizza,
costretta dalla regia in una staticità che non le appartiene, sfoga il suo
essere Butterfly in un fraseggio impareggiabile, così espressivo da arrivare a
cantare ogni singolo sospiro della madre bambina, con una voce sempre piena e
ben poggiata, anche nei piani timbratissimi, e il pubblico non riesce a
trattenersi applaudendola a scena aperta a metà del secondo atto. Un vero
trionfo personale più che meritato, soprattutto nel finale intriso di lacrime
che ha commosso molti spettatori.
Vincenzo Costanzo, nei panni di Pinkerton, ha una
bella voce generosa, ma se continua a cantare in questo modo rischia di dover
abbandonare il palcoscenico entro pochi anni: il suono non è ben posizionato,
spesso fuori maschera, quasi mai sul fiato, tanto da arrivare a parlare nei
recitativi e si nota subito una grande differenza con tutti gli altri colleghi.
È un peccato che una tal vocalità, tipica da tenore all'italiana, venga sprecata
dall'imprecisione e dal pressapochismo, pertanto c'è da sperare che si metta
presto nelle mani di un bravo insegnante.
Nazomi Kato è una bravissima Suzuki, non solo
nell'elegante personaggio, ma soprattutto per la purezza e limpidezza della sua
linea di canto, sempre pulita, mai forzata, mai ingrossata.
Altrettanto vale per l'ottimo Sharpless di Mansoo Kim,
ben timbrato e brillante, nonché bravo fraseggiatore.
Davvero positiva è la prova di Luca Casalin nel ruolo di
Goro e particolarmente efficaci sono Alessio Verna e Cristian
Saitta nei panni di Yamadori e Bonzo.
Buona la prova degli altri comprimari - Federica Gatta, Jin Heon
Song, Giovanni Gregnanin - e del Coro del Teatro Municipale di
Piacenza preparato da Corrado Casati.
Lunghissimi applausi al termine della recita, con più alzate di sipario.
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