Con la messinscena de Il Turco in Italia di Gioachino Rossini il
Teatro Municipale di Piacenza mette a segno un altro punto in termini
di programmazione e qualità artistica.
L'opera fa parte del grande repertorio, ma così come nella stagione
precedente con Les contes d'Hoffmann, si tratta di un titolo
poco rappresentato a Piacenza ed è il modo migliore per offrire novità culturali
alla città, ma al contempo garantirsi il teatro pieno.
Lo spettacolo, originariamente creato lo scorso anno a Treviso, oggetto di
una coproduzione internazionale che vede coinvolti anche Ferrara, Ravenna e
Metz, è firmato dal bravo Federico Bertolani che nel corso
degli ultimi anni è cresciuto da direttore di palcoscenico e assistente alla
regia. Il pregio del suo lavoro è quello di essersi concentrato sulla
caratterizzazione dei singoli personaggi, arricchendola di gestualità elegante e
divertente, mai ridicola, nonché di una buona dose di movimento tra controscene,
spostamenti di attrezzeria ed elementi scenografici, col conseguente rapimento
dell'attenzione degli spettatori.
Un solo appunto può essergli rivolto nell'aver fatto interpretare in platea
la bella aria di secondo atto di Don Geronio. Indubbiamente si tratta
del proseguimento ideale della bellissima operazione di flash mob che nei giorni
precedenti l'opera ha coinvolto e interessato tutta la città.
Si è anche vista Donna Fiorilla civettare col pubblico durante la
pausa tra i due atti, mentre il marito la cercava disperatamente. Ma un conto è
eseguire in sala un coro o un recitativo, un conto è un'aria, poiché la platea
gode di un'acustica molto differente, inoltre si impedisce una buona visione -
oltre all'ascolto - di seconde e terze file di palchi, gallerie e loggione e ciò
non è corretto nei confronti del pubblico pagante.
A parte ciò il lavoro è fatto bene e lo spettacolo è filologico e divertente,
con le scene efficacissime di Giulia Zucchetta e i bei
costumi di Federica Miani, cui va riconosciuto il
merito di aver fatto abbinamenti cromatici di buon gusto, oltre al pregio di una
certa classe, seppur prêt-à-porter. Ottimo il disegno luci di
Claudio Schmid.
Quanto alla parte musicale, l'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
non è certamente in forma come di sua consuetudine, soprattutto tromba
e corno che fanno qualche bel capitombolo. Migliori gli archi e le percussioni.
Alla sua guida è Giovanni Di Stefano, che non è da considerarsi
un direttore rossiniano di riferimento, ma ha il pregio di tenere tempi saldi e
soprattutto di accentare laddove la scrittura del pesarese lo richiede. Riesce
inoltre a reggere buoni equilibri nei pezzi d'assieme, creando un buon amalgama
pur tenendo ben distinte le singole parti: orchestra, coro e ciascuno dei
solisti. Ottima la prova di Gianluca Ascheri al fortepiano;
pure eccellente il Coro del Teatro Municipale di Piacenza
preparato da Corrado Casati.
Simone Alberghini è un Selim dalla statuaria
presenza scenica, sempre disinvolto eppur misurato, mai votato ad alcun tipo di
eccesso. Inizialmente è purtroppo poco elastico e povero di fraseggio, ma nella
seconda parte fortunatamente riprende tutte le forze e l'intero sapere
rossiniano di cui è depositario.
Lo affianca la giovane Leonor Bonilla nei panni di una
Donna Fiorilla riuscitissima nel personaggio, soprattutto perché compie i
suoi gesti antipatici senza mai risultare tale. Il materiale vocale di cui è
dotata la cantante è indubbiamente di ottimo livello, anche se c'è spazio per
migliorare ed imbellire il suono di certe note in acuto, anche nei picchettati.
Inoltre agilità e variazioni, pur essendo ben eseguite, si rifanno di più allo
stile romantico che non a quello rossiniano, per cui sarebbe necessario uno
studio specifico, già facilitato dalla buonissima base di partenza.
Rossiniano DOC è Marco Filippo Romano, un Don Geronio
riuscitissimo sotto ciascun profilo, dalla recitazione ad ogni singolo passaggio
musicale, attraverso un fraseggio così eloquente che se ne percepiscono gesti e
sguardi anche ascoltandolo ad occhi chiusi.
Boyd Owen è un Don Narciso soddisfacente anche se
non entusiasmante, dotato di bella voce leggera, ma talvolta aspra e si lascia
scappare qualche nota calante.
È invece azzeccatissimo il Prosdocimo di Andrea Vincenzo
Bonsignore, buffo rossiniano ben riuscito nello stile di canto come
nell'interpretazione divertente ed efficace.
Anche la Zaida di Loriana Castellano si fa notare
per il suo canto ben eseguito nell'intenzione del compositore. Simpatica
l'interpretazione dell'Albazar di Manuel Amati.
Peccato per qualche taglio qua e là nella partitura.
Applausi entusiastici per tutti, nonostante il solito pubblico disturbante
che cerca di correre al guardaroba non appena si spengono le luci.
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