La rassegna dedicata all’illustre Maestro bergamasco negli anni del
Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti è sempre stata zoppa, sia per
motivi organizzativi e di programmazione, ben poco festivalieri e orientati al
turismo, sia per ragioni artistiche e culturali, poiché la qualità raramente
faceva onore al grande compositore.
Il 2015 è l’anno della svolta, con l’insediamento di un nuovo direttore
artistico e l’ingresso nella rete di OperaLombardia. Occorre ancora molto lavoro
per raggiungere il livello di un vero festival internazionale, ma non c’è dubbio
che la produzione di Anna Bolena sia la migliore dell’ultimo
decennio.
Innanzitutto la nuova edizione critica di Paolo Fabbri
ridona al pubblico appassionato l’integralità della musica scritta per questa
bellissima tragedia, una delle piĂą tagliate e sforbiciate, anche se giĂ in
precedenti occasioni era stata presentata una versione poco dissimile. Inoltre,
fatto ben piĂą importante, si cerca di ridare un senso di originalitĂ con la
scelta di interpreti in grado di eliminare molti stravolgimenti voluti dalla
tradizione, sia da quella eccessivamente tragica, sia da quella esageratamente
belcantista.
In primo luogo è doveroso segnalare un notevolissimo miglioramento in termini
musicali e in tal senso la scelta di scritturare un’orchestra che sa suonare
risulta essere vincente.
I Virtuosi Italiani, guidati dal loro direttore principale
ospite Corrado Rovaris, si presentano con un suono pulito,
anche se non propriamente cristallino. La bacchetta sa ricalcare i giusti
accenti, i tempi sono ben equilibrati, il fraseggio è adeguato e buono è il
dialogo tra buca e palcoscenico, anche se in alcuni – pochissimi – punti si fa
prendere troppo la mano e il suono risulta un po’ troppo voluminoso.
Carmela Remigio è interprete di primo ordine e porta in
palcoscenico un’Anna musicalmente svuotata dagli eccessi del drammatico
spinto della prima tradizione, come pure dalle esagerate variazioni sovracute
della seconda, permettendo al pubblico di riascoltare il ruolo della regina il
piĂą vicino possibile allo spartito originale scritto da Donizetti. La voce piena
e pastosa, non troppo chiara né troppo scura o corposa, musicalmente
appropriata, omogenea nella linea di canto, dotata di buon fraseggio, ma
soprattutto di un bel legato, sa rendere il personaggio in maniera misurata,
passando dalle tinte patetiche a quelle tragiche col giusto equilibrio.
Eccellente è il finale primo “Ah! Segnata è la mia sorte” .
La affianca il bravissimo Maxim Mironov, anch’egli impegnato
nel difficile compito di ripristinare il piĂą possibile il ruolo autografo di
Percy; incarico piuttosto arduo perché molto acuto nella tessitura con numerose
puntature sovracute. Il tenore russo risolve vocalmente molto bene il suo
incarico – le piccolissime difficoltà riscontrate sono ben scusabili – sommando
al canto musicalissimo una tecnica eccellente in ambito virtuosistico. Molto
buona anche la resa del personaggio, che sa essere sempre elegante, giustamente
mai troppo dirompente.
Nella parte di Giovanna, debuttata giovanissima nel 2006, ritorna a
Bergamo Sofia Solovij e la sua prova di buon livello fa
scordare altre sue recenti performance poco fortunate. Il soprano ucraino si
presenta in scena con sicurezza e il suo canto elegante e misurato si confĂ alla
partitura donizettiana slegandosi completamente dalle interpretazioni
mezzosopranili drammatiche della precedente tradizione.
Il quartetto dei protagonisti si conclude col canto magistrale di
Alex Esposito, in possesso di una linea di canto omogenea e
morbidissima, una vocalitĂ brillante dotata di velluto, una capacitĂ di
accentare arricchita da un buon uso dei colori, nonché da un fraseggio
particolarmente eloquente. L’unica pecca del suo Enrico VIII è che il bravissimo
Alex Esposito è sempre se stesso e non è molto diverso da tanti altri suoi
personaggi.
Molto buona è anche la prova dello Smeton di Manuela Custer,
la cui parte senza tagli è ben più corposa, come pure il Sir Hervey di
Alessandro Viola e il Lord Rochefort di
Gabriele Sagona.
Buona la prova del Coro Donizetti preparato da Fabio
Tartari.
L’ottimo risultato in ambito musicale e vocale è supportato da uno spettacolo
discreto che, senza infamia e senza lode, non si inserisce nella polverositĂ di
una visione troppo classica come neppure nell’inutile modernità di un’idea
contemporanea, restando un poco astratto tra i caratteri gotici e dark di scene
e costumi firmati da Madeleine Boyd, che sembrano piĂą
accostabili alla moda che non all’epoca di riferimento.
Molto buona la regia di Alessandro Talevi che, pur non
portando in palcoscenico idee nuove o coup-de-théâtre, sa districarsi molto bene
all’interno della tragedia, creando un movimento continuo anche laddove non
accade alcunché. Scene e controscene sono sempre ben presenti e amalgamate tra
loro, supportate da un eccellente disegno luci di Matthew Haskins,
nonché da posizioni, ingressi, uscite e gestualità ben giocate sui protagonisti
e sul coro, arricchite da movimenti coreografici di Maxine Braham.
Applausi davvero entusiastici per tutti al termine della lunga serata.
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