Dopo quasi mezzo secolo la tragedia straussiana torna finalmente sul
palcoscenico del Teatro Comunale di Bologna.
Elektra potrebbe essere definita un “one woman show” ed
Elisabeth Blancke-Biggs riesce veramente a catturare lo
spettatore su di sé con un carisma tale da desiderare che i suoi monologhi e i
suoi dialoghi non finiscano mai. L'interpretazione è avvincente, da togliere il
fiato, supportata da un accento e un uso della parola che fanno invidia al
teatro shakespeariano. La vocalità da lirico spinto, calda e suadente, calza a
pennello col ruolo e la bravissima professionista sa tenere suoni brillanti e
limpidissimi nella zona centrale e nel bel registro acuto, per poi cercare
maggiore efficacia drammatica sporcando i gravi e i medio bassi, pur senza
togliere musicalità nel difficile ruolo ricco di parlati, sussurrati e forti
tendenti all'urlo.
La affianca un altrettanto eccellente Natascha Petrinsky nei
panni di una Klytämnestra elegantissima, che trasmette il suo gelo
dall'alto del comando, pur essendo sola come un'imperatrice inavvicinabile. In
Elektra non cerca una figlia, bensì un'intima confidente cui porgere l'estrema
sua solitudine. La vocalità piena e rotonda contribuisce a mantenere morbidezza
nella linea di canto tutt'altro che semplice, donando una certa grazia
autorevole al personaggio.
Bravissima anche la Crysothemis di Sabina Von Walther,
che col suo canto raffinato e al tempo stesso impaurito, cerca di mantenere un
collegamento stabile tra l'ira accecante di Elektra e la rabbia intimorita della
madre. Davvero pregevole la resa dei cantabili nel primo duetto con Elektra.
Ottima anche l'esecuzione di Thomas Hall nei panni di
Orest.
Buona quella di Jan Vacik nel ruolo di Aegisth.
Efficacissima l'interpretazione delle parti di contorno: Luca Gallo,
Alena Sautier, Eleonora Contucci, Carlo Putelli, Paola Francesca Natale,
Constance Heller, Daniela Denschlag, Eva Oltivanyi.
Superlativa è la prova di Lothar Zagrosek alla guida della
bravissima Orchestra del Teatro Comunale di Bologna: suoni
limpidissimi, pulitissimi e cristallini; accenti drammatici e ritmi incalzanti;
senso del dramma musicale compatto ed omogeneo; perfetto dialogo tra buca e
palcoscenico.
Lo spettacolo firmato da Guy Joosten con scene e costumi di
Patrick Kinmonth è accattivante, ma non entusiasmante.
L'introduzione è elettrizzante, con le ancelle e la sorvegliante che
ricordano le secondine di una prigione femminile mentre indossano le uniformi da
lavoro negli spogliatoi del carcere.
Anche la prigione di Elektra, costruita nell'ala fatiscente e in disuso di un
palazzo classico, con impalcature di ferraglia e lamiera, ha un buon senso
contemporaneo ed effettivamente angosciante, ma l'attrezzeria ad uso della
protagonista che rimanda all'antica Grecia ha un che di polveroso e quasi
disturba il completo immedesimarsi in una tragedia che altrimenti sarebbe
perfettamente impostata.
Buono l'andirivieni dei vari personaggi, soprattutto di quelli secondari.
Sufficientemente adeguate le luci di Manfred Voss.
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