Il concerto dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
diretta da Antonio Pappano è stato indubbiamente il momento
musicale e artistico più elevato di tutto l'anno 2015 del Teatro Regio di Parma;
e gli applausi, i fragori, le ovazioni che hanno accompagnato il termine di
ognuna delle esecuzioni lo ha dimostrato attraverso il favore del pubblico; ma
c'è da domandarsi che cosa abbia avuto a che fare con un Festival Verdi che
continua a non essere tale. Ma proprio perché l'estasi ha raggiunto livelli
inimmaginabili nell'attuale panorama culturale cittadino, occorre smettere di
farsi simili domande e semplicemente godere del dono.
Lo smalto ardente e brillante, il suono preciso e pulito, l'organico compatto
e omogeneo fanno di questa orchestra una delle migliori al mondo ed è
addirittura in grado di superare se stessa quando guidata dal suo direttore
musicale. Ed è così che i quattro pezzi verdiani eseguiti cessano di essere
ouverture e preludi per diventare pagine da concerto.
C'era quasi da aspettarselo con le sinfonie di Luisa Miller
e La forza del destino, dove Pappano si
contraddistingue per un fraseggio ben accentuato e caratterizzato – eccellente
l'oboe – ma più rara è l'esecuzione del preludio de I masnadieri,
dove un superbo violoncello ha saputo rendere la tragedia come mai si era
sentito.
Ma il vero – unico – pezzo da festival è stata la sinfonia di Aida
scritta per la prima della Scala e mai eseguita fino al 1940.
Come già affermato da Toscanini un secolo fa, tale sinfonia
è un raffinato pezzo da direttori e questo concerto è certamente il momento
migliore, con i musicisti migliori e il miglior direttore, per poterla eseguire,
per poterla far ascoltare al melomane pubblico parmigiano e non solo.
Con la settima di Beethoven Antonio Pappano e l'Orchestra
dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia dimostrano di possedere una
capacità di dialogo elevatissima. Non c'è più bisogno di gesto, ma solo di
pensiero e di sguardo. La magia avviene da sé, attraverso l'armonia, la melodia,
le tematiche, la capacità di spaziare nell'organico, aprendo e chiudendo un
sistema che produce emozioni e sensazioni raffinate e sublimi.
Gli applausi sono vere ovazioni da stadio, ma il bis concesso è uno soltanto:
la nona variazione di Edward Elgar che giustamente ricorda
Beethoven.
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