Un vero festival lirico dovrebbe avere una missione ben precisa, quella
culturale o quella turistica, possibilmente entrambe come accade al ROF.
A Parma si sono succeduti innumerevoli e fallimentari esperimenti a partire
dal 1990 e poiché se ne è già discusso in precedenti occasioni non è questa la
sede per ripetersi. È forse invece arrivato il momento di capire se ha ancora un
senso portare avanti questa idea che la metà dei melomani considerano una
pagliacciata, oppure se rivederne completamente il contenuto e l'apparato
organizzativo, magari smettendo di volere fare tutto da soli, ma coproducendo
con altri teatri della regione, essendo l'Emilia-Romagna la più ricca di teatri
di tradizione funzionanti e frequentati. Con i tempi che corrono una piccola
città come Parma non può più essere in grado di mettere in piedi due stagioni
all'anno – e la prova sta nelle miserie calendarizzate negli ultimi tempi – e ha
forzatamente bisogno dell'aiuto delle città vicine e della regione. Tanto più
che Giuseppe Verdi ha a che fare con Parma molto poco, comunque in egual misura
con cui ha a che fare con Piacenza.
L'edizione 2015 non rispetta i criteri turistici, poiché non è possibile
restare in città tre giorni e assistere a tutti gli spettacoli d'opera – il
teatro non fa il tutto esaurito anche se le recite sono in abbonamento – come
pure non rispetta quelli culturali, avvalendosi solo in minima parte delle
edizioni critiche o comunque di nuovi spunti o riscoperte musicali. E riguardo
Il corsaro, opera sprovvista di fonti autografe, quasi priva di letteratura,
tramandata esclusivamente attraverso la tradizione, senza alcun controllo
diretto del compositore e senza il rispetto delle sue intenzioni, ci sarebbe
molto da scoprire.
Il corsaro è opera romantica; Corrado è personaggio
romantico; pertanto la giusta vocalità in grado di esprimere correttamente il
carattere e le note volute da Verdi è più assimilabile a ciò
che sarà Manrico de Il trovatore, come vuole la
tradizione, o Edgardo di Lucia di Lammermoor e
Fernando de La favorita? La voce di Gulnara
dovrebbe anticipare Aida e Un ballo in maschera
o essere più vicina ad Anna Bolena e Lucrezia
Borgia? Seid è equiparabile al futuro baritono drammatico
di Jago e Simon Boccanegra, o al baritono cantabile di
Belisario? Medora dovrebbe essere un soprano leggero di
coloratura, un lirico o addirittura un mezzosoprano acuto di stampo rossiniano?
Sono tutte scelte tutt'altro che semplici e andrebbero prese con molta
cautela, soprattutto cercando di dare un senso univoco e ben amalgamato al
gruppo di artisti.
Certamente ciò non è stato possibile in questa occasione: se i cambi di cast
hanno inficiato la resa di Otello, quelli di Corsaro
hanno rasentato il ridicolo, non certo per i professionisti coinvolti che si
sono tutti adoperati per rendere il meglio in una situazione organizzativa
davvero deprimente, ma per chi non è stato in grado di scegliere fin da subito
gli artisti adeguati con un'altrettanto appropriata copertura o secondo cast,
considerando la rara esecuzione del titolo, poiché cercare all'ultimo minuto
Corrado e Gulnara non è come andare alla ricerca del Duca
e di Gilda.
E il pubblico della prima del 14 ottobre, dopo aver pagato un biglietto che
andava dai 250 euro della platea ai 50 euro del loggione, depresso da
Otello e stanco dei continui annunci di cambio e indisposizione, ha
deciso di esprimersi come non faceva da anni. La recita del 20 ottobre ha
sicuramente sortito migliori effetti, pur con l'ennesima sostituzione.
Innanzitutto ciò che manca a questa produzione è il nervo, quel vigore
verdiano che tiene incollato il melomane alla sedia. In questa situazione è
difficile capire dove risieda la colpa: la Filarmonica Arturo Toscanini
sembra svogliata già dalla produzione precedente, anche se corretta, il
Coro del Teatro Regio di Parma appare un poco pigro, seppur ben
preparato come al solito, gli interpreti vanno e vengono e la bacchetta del
bravo Francesco Ivan Ciampa non riesce nell'ardua impresa, se non impossibile,
di mettere insieme questo gran vespaio al fine di creare la magia. Non resta che
godere del fatto che la sua direzione dialoga col palcoscenico, lasciando mai
soli i cantanti.
Dopo l'ennesima indisposizione che ha fatto inferocire i loggionisiti –
erroneamente comunicata a metà della prima – Diego Torre
abbandona la seconda recita della produzione.
Il tenore portoghese Bruno Ribeiro, titolare del ruolo di
Corrado a Busseto nel 2008 poi ripreso a Bilbao nel 2010, è stato
catapultato in palcoscenico senza prove in un ruolo che non cantava da cinque
anni. Naturalmente paga le conseguenze della mancata preparazione e della
sostituzione al cardiopalma, ma perlomeno sa farsi notare nell'essenza
dell'artista, dando un'interpretazione e cercando un minimo di colori. Deve
inoltre essere premiato per la professionalità, poiché nel terzetto finale lo si
vede cercare il suggeritore con lo sguardo rivolto alle quinte, ma il
suggerimento non arriva e invece di farfugliare frasi insensate che avrebbero
rischiato di mettere in difficoltà i soprani, tace finché qualcuno non se ne
accorge e finalmente arrivano le parole che lo conducono al termine dell'opera.
Ma come mai non è stato indicato a qualche maestro collaboratore di restare a
disposizione dei sostituti per tutto il tempo della recita? Si sono già spese
molte parole a favore della riapertura delle buche dei suggeritori e questa è
l'ennesima sede per ribadire il concetto.
Silvia Dalla Benetta, anch'ella titolare del personaggio di
Gulnara a Busseto nel 2008 poi ripreso a Bilbao nel 2010, è stata
buttata in scena alla prova generale meno di 24 ore dopo avere cantato un ruolo
Colbran a Sassari, con alle spalle sette mesi di esclusivo repertorio
rossiniano. Il soprano vicentino si esibisce nella cavatina con un recitativo
dal forte temperamento, un'aria dall'encomiabile legato e conclude l'ardua
cabaletta con vigore, districandosi come si deve nella terribile, aspra e brusca
tessitura, che forse Verdi ha scritto in questo modo per esprimere il carattere
insoddisfatto e frustrato della schiava, con una serie di salite al do ben più
ardue dei trilli e dei picchettati di Traviata. Ottimo il fraseggio e l'uso dei
colori di tutto il terzo atto.
Ivan Inverardi canta la parte di Seid con
indiscutibile ampiezza di voce e tanta buona volontà, ma la mancanza di eleganza
non lo aiuta certamente a rendere le finezze previste dalla partitura, ricca di
pianissimi e sfumature che andrebbero dalla dolcezza alla rabbia.
Jessica Nuccio non possiede lo spessore adeguato a risolvere
opportunamente un ruolo verdiano, anche dei più semplici come questo e
soprattutto è precaria nell'intonazione e nell'uso dei fiati. Che abbia una
bella voce morbida è indubbio, ma non sufficiente. Considerando la sua
folgorante carriera, che ciò le sia da monito al fine di sistemare le pecche
tecniche per poter cantare ancora mezzo secolo e non pochi anni come accade a
parecchie meteore sconsideratamente usate dagli agenti.
Buona la resa di Matteo Mezzaro nei panni di Selimo,
Luciano Leoni in quelli di Giovanni e Seung
Hwa Paek come schiavo ed eunuco.
Sempre avvincente, anche se parzialmente compromesso dalla generale
situazione, lo spettacolo di Lamberto Puggelli ripreso da
Grazia Pulvirenti Puggelli.
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