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Recensione opera Il Corsaro di Giuseppe Verdi al Festival Verdi di Parma

William Fratti, 10/11/2015

In breve:
Parma - Recensione dell'opera Il Corsaro di Giuseppe Verdi al Festival Verdi di Parma in scena il 20 ottobre 2015.


Un vero festival lirico dovrebbe avere una missione ben precisa, quella culturale o quella turistica, possibilmente entrambe come accade al ROF.

A Parma si sono succeduti innumerevoli e fallimentari esperimenti a partire dal 1990 e poiché se ne è già discusso in precedenti occasioni non è questa la sede per ripetersi. È forse invece arrivato il momento di capire se ha ancora un senso portare avanti questa idea che la metà dei melomani considerano una pagliacciata, oppure se rivederne completamente il contenuto e l'apparato organizzativo, magari smettendo di volere fare tutto da soli, ma coproducendo con altri teatri della regione, essendo l'Emilia-Romagna la più ricca di teatri di tradizione funzionanti e frequentati. Con i tempi che corrono una piccola città come Parma non può più essere in grado di mettere in piedi due stagioni all'anno – e la prova sta nelle miserie calendarizzate negli ultimi tempi – e ha forzatamente bisogno dell'aiuto delle città vicine e della regione. Tanto più che Giuseppe Verdi ha a che fare con Parma molto poco, comunque in egual misura con cui ha a che fare con Piacenza.

L'edizione 2015 non rispetta i criteri turistici, poiché non è possibile restare in città tre giorni e assistere a tutti gli spettacoli d'opera – il teatro non fa il tutto esaurito anche se le recite sono in abbonamento – come pure non rispetta quelli culturali, avvalendosi solo in minima parte delle edizioni critiche o comunque di nuovi spunti o riscoperte musicali. E riguardo Il corsaro, opera sprovvista di fonti autografe, quasi priva di letteratura, tramandata esclusivamente attraverso la tradizione, senza alcun controllo diretto del compositore e senza il rispetto delle sue intenzioni, ci sarebbe molto da scoprire.

Il corsaro è opera romantica; Corrado è personaggio romantico; pertanto la giusta vocalità in grado di esprimere correttamente il carattere e le note volute da Verdi è più assimilabile a ciò che sarà Manrico de Il trovatore, come vuole la tradizione, o Edgardo di Lucia di Lammermoor e Fernando de La favorita?
La voce di Gulnara dovrebbe anticipare Aida e Un ballo in maschera o essere più vicina ad Anna Bolena e Lucrezia Borgia?
Seid è equiparabile al futuro baritono drammatico di Jago e Simon Boccanegra, o al baritono cantabile di Belisario?
Medora dovrebbe essere un soprano leggero di coloratura, un lirico o addirittura un mezzosoprano acuto di stampo rossiniano?

Sono tutte scelte tutt'altro che semplici e andrebbero prese con molta cautela, soprattutto cercando di dare un senso univoco e ben amalgamato al gruppo di artisti.

Certamente ciò non è stato possibile in questa occasione: se i cambi di cast hanno inficiato la resa di Otello, quelli di Corsaro hanno rasentato il ridicolo, non certo per i professionisti coinvolti che si sono tutti adoperati per rendere il meglio in una situazione organizzativa davvero deprimente, ma per chi non è stato in grado di scegliere fin da subito gli artisti adeguati con un'altrettanto appropriata copertura o secondo cast, considerando la rara esecuzione del titolo, poiché cercare all'ultimo minuto Corrado e Gulnara non è come andare alla ricerca del Duca e di Gilda.

E il pubblico della prima del 14 ottobre, dopo aver pagato un biglietto che andava dai 250 euro della platea ai 50 euro del loggione, depresso da Otello e stanco dei continui annunci di cambio e indisposizione, ha deciso di esprimersi come non faceva da anni. La recita del 20 ottobre ha sicuramente sortito migliori effetti, pur con l'ennesima sostituzione.

Innanzitutto ciò che manca a questa produzione è il nervo, quel vigore verdiano che tiene incollato il melomane alla sedia. In questa situazione è difficile capire dove risieda la colpa: la Filarmonica Arturo Toscanini sembra svogliata già dalla produzione precedente, anche se corretta, il Coro del Teatro Regio di Parma appare un poco pigro, seppur ben preparato come al solito, gli interpreti vanno e vengono e la bacchetta del bravo Francesco Ivan Ciampa non riesce nell'ardua impresa, se non impossibile, di mettere insieme questo gran vespaio al fine di creare la magia. Non resta che godere del fatto che la sua direzione dialoga col palcoscenico, lasciando mai soli i cantanti.

Dopo l'ennesima indisposizione che ha fatto inferocire i loggionisiti – erroneamente comunicata a metà della prima – Diego Torre abbandona la seconda recita della produzione.

Il tenore portoghese Bruno Ribeiro, titolare del ruolo di Corrado a Busseto nel 2008 poi ripreso a Bilbao nel 2010, è stato catapultato in palcoscenico senza prove in un ruolo che non cantava da cinque anni. Naturalmente paga le conseguenze della mancata preparazione e della sostituzione al cardiopalma, ma perlomeno sa farsi notare nell'essenza dell'artista, dando un'interpretazione e cercando un minimo di colori. Deve inoltre essere premiato per la professionalità, poiché nel terzetto finale lo si vede cercare il suggeritore con lo sguardo rivolto alle quinte, ma il suggerimento non arriva e invece di farfugliare frasi insensate che avrebbero rischiato di mettere in difficoltà i soprani, tace finché qualcuno non se ne accorge e finalmente arrivano le parole che lo conducono al termine dell'opera. Ma come mai non è stato indicato a qualche maestro collaboratore di restare a disposizione dei sostituti per tutto il tempo della recita? Si sono già spese molte parole a favore della riapertura delle buche dei suggeritori e questa è l'ennesima sede per ribadire il concetto.

Silvia Dalla Benetta, anch'ella titolare del personaggio di Gulnara a Busseto nel 2008 poi ripreso a Bilbao nel 2010, è stata buttata in scena alla prova generale meno di 24 ore dopo avere cantato un ruolo Colbran a Sassari, con alle spalle sette mesi di esclusivo repertorio rossiniano. Il soprano vicentino si esibisce nella cavatina con un recitativo dal forte temperamento, un'aria dall'encomiabile legato e conclude l'ardua cabaletta con vigore, districandosi come si deve nella terribile, aspra e brusca tessitura, che forse Verdi ha scritto in questo modo per esprimere il carattere insoddisfatto e frustrato della schiava, con una serie di salite al do ben più ardue dei trilli e dei picchettati di Traviata. Ottimo il fraseggio e l'uso dei colori di tutto il terzo atto.

Ivan Inverardi canta la parte di Seid con indiscutibile ampiezza di voce e tanta buona volontà, ma la mancanza di eleganza non lo aiuta certamente a rendere le finezze previste dalla partitura, ricca di pianissimi e sfumature che andrebbero dalla dolcezza alla rabbia.

Jessica Nuccio non possiede lo spessore adeguato a risolvere opportunamente un ruolo verdiano, anche dei più semplici come questo e soprattutto è precaria nell'intonazione e nell'uso dei fiati. Che abbia una bella voce morbida è indubbio, ma non sufficiente. Considerando la sua folgorante carriera, che ciò le sia da monito al fine di sistemare le pecche tecniche per poter cantare ancora mezzo secolo e non pochi anni come accade a parecchie meteore sconsideratamente usate dagli agenti.

Buona la resa di Matteo Mezzaro nei panni di Selimo, Luciano Leoni in quelli di Giovanni e Seung Hwa Paek come schiavo ed eunuco.

Sempre avvincente, anche se parzialmente compromesso dalla generale situazione, lo spettacolo di Lamberto Puggelli ripreso da Grazia Pulvirenti Puggelli.

 
 
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