Il rapporto che lega la città di Genova al Simon Boccanegra
di Giuseppe Verdi è particolarmente intenso, intriso di quel
sano campanilismo che inorgoglisce l'antica repubblica e i suoi odierni
cittadini.
Il bell'allestimento originariamente ideato per il Teatro la Fenice
di Venezia da Andrea De Rosa soddisfa l'onore dei
genovesi mettendo in scena città e palazzi solo lontanamente accennati
nell'architettura, ma sfogandosi nei fondali animati da proiezioni del mare,
delle coste e dei borghi visti dall'alto.
Anche il lavoro sui personaggi e sul coro è di pregio, risultandone
un'omogeneità che rende lo spettacolo elegante ed efficace. Piacevoli e adeguati
i costumi di Alessandro Lai, eccellenti le luci di
Pasquale Mari.
Stefano Ranzani, chiamato a sostituire Andrea
Battistoni – il male comune che ultimamente ha unito Genova e Parma –
dirige la difficile partitura con polso deciso, talvolta troppo determinato,
comunque di buon livello, poiché sempre ben amalgamato al palcoscenico, che
risponde in maniera più che positiva.
Migliore del solito la prova dell'Orchestra del Teatro Carlo Felice,
che si esibisce con suono particolarmente limpido, anche nelle sezioni dove la
concertazione si fa più complessa. Decisamente ottima anche la prova del Coro
preparato da Pablo Assante, che si distingue soprattutto nella
scena del consiglio.
Franco Vassallo – in sostituzione di Carlos Alvarez
– debutta il difficile ruolo verdiano con gran classe e mette in mostra la sua
consueta bella voce brillante e il buon fraseggio. La maturazione del suo
Simone sicuramente lo porterà a migliorare nell'accento e nell'uso della
parola scenica e renderà certamente un personaggio di altissima levatura.
L'Amelia di Barbara Frittoli – anch'ella in
sostituzione della precedente titolare – invece non soddisfa pienamente. In
alcuni momenti si è fortemente gratificati dalla consueta pasta della vocalità
del celebre soprano, arricchita dall'eleganza e dalla raffinatezza che l'hanno
sempre contraddistinta, timbro caldo e interpretazione scenica di gran classe,
ma l'organo sembra in parte compromesso – risultando talvolta disomogenea nella
linea di canto a causa di un passaggio talora forzato o arrancato verso acuti un
poco urlati, non ben poggiati e traballanti – come se fosse usurato e ciò è
praticamente impossibile considerando la grande intelligenza dell'artista che ha
sempre frequentato un repertorio adeguato alla sua voce. C'è da sperare che si
tratti di una problematica passeggera.
Molto buona nell'interpretazione, nell'intenzione e nella fibra la prova di
Gianluca Terranova nei panni di Adorno, che sa
regalare forti emozioni con le doti naturali che sono il segno distintivo della
sua bella voce squillante. Purtroppo non accennano a cambiare le problematiche
legate alla tecnica, di cui è inutile discutere per l'ennesima volta, che se non
risolte lo porteranno ad una precoce e veloce senescenza.
Eccellente è il Fiesco di Marco Spotti. Timbro
scuro, note saldissime dalle più basse alle più alte, omogeneità su tutta la
linea di canto, voce che corre dal palcoscenico alla sala, cantante attore, la
sua interpretazione è sicuramente una di quelle da prendere come riferimento.
Buono, seppur senza lodi, il Paolo di Gianfranco Montresor.
Appena accettabili il Pietro di John Paul Huckle,
il capitano di Antonio Mannarino e l'ancella
di Kamelia Kader.
Successo per tutti al termine di una bellissima serata a cui ha assistito un
pubblico sempre meno numeroso, i cui applausi si perdevano in un flebile fragore
– anche in questo caso è male comune che ultimamente ha unito Genova e Parma.
|