Opera poco rappresentata del belcanto italiano, Elisabetta Regina
d'Inghilterra di Gioachino Rossini non ha nulla da invidiare alle sue
sorelle maggiori, se non nell'efficacia del recitativo, poiché il gusto musicale
e teatrale è di indubbia levatura.
L'Ente Concerti Marilisa de Carolis presenta un nuovo
allestimento di Marco Spada, coadiuvato alle scene da
Mauro Tinti, ai costumi da Maria Filippi e alle luci
da Fabio Rossi, spettacolo che ha i medesimi pregi e difetti di
alcuni suoi lavori precedenti.
È elegante e giustamente contemporaneo, poiché la lotta di potere di
Elisabetta I con gli uomini della sua corte non differisce molto dalle
problematiche vissute da Elisabetta II con alcuni dei suoi governi,
naturalmente in chiave più attuale e meno sanguigna, ma non per questo meno
interessante.
Gli ingressi e le uscite delle masse sono sempre ben gestite, ma il vuoto
monotono che contraddistingue i momenti di canto e le pagine di intermezzo
musicale, in cui accade il nulla assoluto, è davvero noioso.
Lo stesso vale per i protagonisti: chi ha esperienza o doti interpretative
naturali sa come comportarsi; viceversa chi ha bisogno di un disegno di regia
più puntuale non sa come muoversi.
In generale è uno spettacolo efficace, valido e piacevole che andrebbe
ripreso anche su altri palcoscenici, ma coi giusti accorgimenti per scongiurare
la noia e il sonno.
Esito completamente diverso per la parte musicale, decisamente disastrosa.
L'orchestra, tendenzialmente poco pulita e poco precisa, viaggia abbastanza
bene negli archi, ma ha una sezione dei fiati da rivedere, soprattutto nei corni
e la bacchetta di Federico Ferri sembra dirigere una
composizione sacra barocca dedicata ai defunti anziché Rossini.
Lo stile del pesarese è totalmente assente, manca nel fraseggio,
nell'accento, nel colore, nell'intenzione, nelle dinamiche, persino nelle scelte
di orchestrazione e concertazione. Ma ciò che è peggio è che risulta evidente
che non comprende le singole abilità degli interpreti e non è in grado di
valorizzarle, anzi tende a metterli in difficoltà con tempi assurdamente lenti
in alcuni punti – costringendoli a prendere fiati lunghissimi o più numerosi,
andando a ledere l'omogeneità del loro canto e stancandoli oltre ogni limite –
poi addirittura troppo veloci in altri, facendo pasticciare le loro agilità.
Lo sguardo di Ferri non è mai rivolto al palcoscenico, c'è totale assenza di
dialogo, mentre dovrebbe imparare l'umiltà di fare gioco di squadra al fine di
raggiungere il miglior risultato possibile con le capacità di tutti.
Fortunatamente ogni tanto si vede sbucare dalle quinte qualche maestro
collaboratore e presumibilmente va a loro il merito degli attacchi corretti.
Ma ciò deve essere da monito per tutte le dirigenze che durante le prove
devono saper riconoscere gli artisti inadeguati e sostituirli, direttore
compreso.
Come pure bisogna imporre la riapertura delle buche dei suggeritori,
inventate a suo tempo per una serie di nobili motivi.
Il Coro diretto da Antonio Costa è purtroppo poco incisivo e
leggermente approssimativo; mentre i cantanti solisti sono tutti di buon livello
e sono certamente gli autori del buon esito della serata.
Silvia Dalla Benetta, reduce da un intero anno dedicato a
Rossini, arriva al suo debutto di questo difficile ruolo Colbran con la
consapevolezza e la preparazione tecnica che si addice al Rossini
serio e drammatico, puntuale nel fraseggio e nelle variazioni per sottolineare
adeguatamente il senso musicale del dramma. Nonostante l'inadeguatezza della
bacchetta riesce a sopravvivere a una situazione professionale che ne ha del
surreale, con perizia e dedizione, interpretando una regina giustamente misurata
in primo atto, per poi tirar fuori denti e unghie nel secondo, esplodendo in un
feroce “Fellon, la pena avrai”, sciogliendosi in una dolcezza
emozionantissima in “Bell'alme generose” ricca di pianissimi e
cromatismi raffinati, abilissima nel legato e concludendo con un efficacissimo “Fuggi
amor” dove la Dalla Benetta è una vera macchina di
coloratura.
Alessandro Liberatore è un Leicester svettante
nella voce e nel personaggio, dotato di un bellissimo timbro e un bel fraseggio,
anche se un poco più donizettiano che rossiniano. Brillanti gli acuti, seppur
poco precisi quelli più estremi.
Sandra Pastrana è una bravissima Matilde,
tecnicamente accurata, anche nell'intenzione e nello stile di Rossini.
Eccellenti le agilità, ma non limpidissime le note più alte.
Il Norfolc di David Alegret è forse il personaggio
meno riuscito, ma il tenore contraltino è in possesso della giusta vocalità e
perizia tecnica per vestire i panni del terribile parente di Elisabetta,
grande del regno, leggero e insidioso come il veleno di un serpente. Ottime le
agilità e gli acuti, un poco mancante nelle note basse, soprattutto al termine
delle frasi che il direttore gli tiene troppo lunghe.
Ottima interpretazione anche per Olesya Berman Chuprinova
nel panni di Enrico.
Autorevole al punto giusto il Guglielmo di Nestor Losan.
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