Per il titolo d'apertura del Festival ci si aspettano sempre faville, ma la
XXXVI edizione presentava già parecchi dubbi nei nomi in cartellone, perplessità
poi riscontrate all'ascolto di questa opera mastodontica e che avrebbe meritato
maggior attenzione nella scelta degli interpreti.
I soli artisti veramente meritevoli di questa inaugurazione sono il regista
Damiano Michieletto, coadiuvato da Paolo Fantin
alle scene, Carla Teti ai costumi e Alessandro Carletti
alle luci – che ripropone lo spettacolo prodotto nel 2007, rivelandosi essere
ancora molto funzionale e ben chiaro nell'esposizione alternata tra buffo e
tragico della vicenda – e il basso baritono Alex Esposito nel
ruolo di Fernando, reso con grandissimo spessore drammatico, stile
rossiniano eccellente, espressività centratissima nel fraseggio e soprattutto
nelle variazioni, decisamente uniforme nella linea di canto.
Si difendono, senza primeggiare, la bella voce morbida di Matteo
Macchioni nei panni di Isacco; il timbro scuro della Lucia
di Teresa Iervolino che, a discapito di una sortita dalle
figurazioni davvero mediocri, si riprende notevolmente in secondo atto e dà
mostra delle sue capacità nella buona resa di “A questo seno”; il bel
carattere del Fabrizio di Simone Alberghini e la
giusta efficacia dei comprimari Alessandro Luciano, Riccardo Fioratti e
Claudio Levantino nei panni di Antonio, Giorgio ed Ernesto/Pretore.
Il resto è dozzinale e scadente, a partire dalla Ninetta di
Nino Machaidze, bellissima donna dotata di buon carisma e di carriera
davvero invidiabile, ma decisamente inelegante, con un canto disomogeneo,
discontinuo, impreciso e spesso urlato.
Il suo debutto al ROF poteva essere risparmiato, come pure quello di
René Barbera, che nel ruolo di Giannetto presenta una bella
voce chiara e limpida, ma notevolmente precario nelle agilità e con variazioni
lontane dal gusto rossiniano; assolutamente improponibile la frase, da tutti
attesa, “Ed io la credea l'istessa onestà!”.
Lena Belkina, che lo scorso anno aveva parzialmente convinto
nel ruolo di Arsace in “Aureliano in Palmira”, in questa
occasione compie decisamente un passo falso, quasi imbarazzante nel brindisi
iniziale, tanto da essere contestata a scena aperta; fortunatamente migliora col
proseguire della vicenda.
Altrettanto dubbia è la presenza di Marko Mimica, dotato di
voce scura, ma pachidermica e si trova prima in serie difficoltà sulle agilità,
poi nell'appoggio e arriva al finale secondo con la temibile “Qual fremito! Qual
gelo” con intonazione molto precaria.
Soddisfacente, seppur non esaltante, la direzione di Donato Renzetti
alla guida della bravissima Orchestra del Teatro Comunale di Bologna,
accompagnata dall'eccellente Coro diretto da Andrea Faidutti.
Esemplare la presenza dell'acrobata Sandhya Nagaraja, una
gazza davvero divertente.
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