È una vera sorpresa, a pochi anni da La donna del lago, trovare un altro
titolo del Rossini serio al Teatro alla Scala,
il grande assente assieme al resto del belcanto italiano con Bellini e
Donizetti; chissà poi perché si preferisca fare cultura con sconosciuti titoli
d'oltralpe eludendo completamente una grossa parte del melodramma italiano,
quando si potrebbe fare sia l'uno che l'altro.
La locandina sulla carta è delle migliori, ma le luminose attese presentano
purtroppo molte ombre a partire dallo spettacolo di Jürgen Flimm
che dice proprio nulla.
I soli momenti in cui cerca di dare vita a delle idee personalissime,
scendono decisamente nel ridicolo: tra questi le due cortigiane che amoreggiano
con Jago e Rodrigo; Emilia che cerca di istruire
Desdemona al corano o alla lingua araba; Elmiro che porta due
piante fiorite in vaso e rinsecchite a simbolo dell'unione tra Desdemona
e Rodrigo; altre due cortigiane che spargono il veleno di Jago come
fosse verderame sul ring di battaglia di Otello e Rodrigo.
Insomma, inutilità infantili a riempire un allestimento vuoto, da un'idea di
Anselm Kiefer, che si sarebbe potuto usare in un teatro di
provincia nel momento in cui si fosse trovato senza denaro per poter produrre
l'opera. Tre tende, tre tavoli di rumoroso metallo, qualche decina di sedie da
giardino e un po' di sabbia sono tutto ciò che c'è in scena per tre ore. E per
riempire un po' il vuoto cosmico arriva la grande novità del catafalco di
Desdemona a simboleggiare la sua morte imminente, su di una gondola, al tempo
dell'arietta del gondoliere.
Al centro diurno dell'oratorio avrebbero saputo fare di meglio.
Di buona fattura sono i costumi di Ursula Kudrna, pur senza
novità, poiché numerose sartorie avrebbero potuto procurarne di simili a
noleggio. Abbastanza centrate, nella loro semplicità, le luci di
Sebastian Alphons.
Con tale premessa, qualunque colpa interpretativa non può essere imputata ai
solisti, che hanno certamente dovuto sopperire alle mancanze del regista con le
loro esperienze personali.
Lo zero assoluto della scena è equiparato al nulla del podio, occupato da
Muhai Tang che sbaglia nei tempi, nei pesi e nelle misure.
Riguardo ai tempi non è chiaro se la noiosa lentezza di alcune parti sia
causata dal volere del direttore o di alcuni cantanti, in ogni caso il risultato
è vergognoso, poiché se la musica diventa una lagna inesorabile, cantanti agili
come Florez e Peretyatko si trovano a dover
prendere fiati lunghissimi oppure costretti a spezzare frasi troppo lunghe per
cercare aria.
Riguardo ai pesi, dove i piani sono troppo piani e i forti sono troppo forti,
presumibilmente Tang si è trovato a dovere fare i conti con
un'orchestra decisamente al di sopra delle sue possibilità: sembra un
adolescente neopatentato seduto sul sedile di una Ferrari, col risultato di
sembrare scollato, privo di colori e sfumature, leggendo una mastodontica
partitura che di intenzione rossiniana ha ben poco. Infine pure le misure sono
assenti, i cantanti sono costretti a prendere gli attacchi dal suggeritore e gli
strumentisti suonano da soli, perché altro non possono fare. Un grande plauso al
corno, al flauto, all'oboe e all'arpa.
Gregory Kunde, che negli ultimi anni ha trovato una seconda
primavera con ruoli spinti, nel tornare a Rossini compie un passo decisamente
falso. Le note ci sono, ma slegate; l'elasticità e la duttilità mancano e le
agilità sono quasi imbarazzanti. Sarebbe stato meglio rendersene conto per
tempo, rinunciare alla parte e tenere le glorie meritatissime dell'Otello
verdiano, di Enea e di Vasco De Gama.
Olga Peretyatko, cantante vittima di lodi eccedenti da una
parte della critica, eccessivamente controbilanciate da disapprovazioni che
certamente non merita, è un'eccellente interprete rossiniana e questo dovrebbe
bastare. Il fatto che la voce non sia particolarmente stentorea e i sovracuti
siano punte di spillo non dovrebbe essere un problema, poiché la raffinatezza,
la precisione, la pulizia del suono, lo stile del pesarese, la bravura nelle
agilità sono tutte caratteristiche che non le mancano. Il canto della sua
Desdemona è elegantissimo in primo atto, tecnicamente accurato in secondo,
angelico e soave in terzo.
La accompagna il superbo Rodrigo di Juan Diego Florez,
superlativo sotto ogni punto di vista, a partire dalla morbidezza e
dall'omogeneità della linea di canto, presentata con grande classe e forma
perfetta, eccellendo nel fraseggio. La piattezza della direzione non gli
permette di sciorinare i consueti cromatismi, ma è poca cosa nei confronti di
una prova comunque eccelsa.
Edgardo Rocha è un bravo cantante e il suo Rossini
funziona, anche se andrebbe riascoltato in una parte più importante per
comprenderne meglio lo stile: un conto è cantarlo da tradizione, un altro conto
è cantarlo secondo l'intenzione pesarese. In ogni caso il suo Jago,
seppur ben impostato, sembra aver poco spessore drammatico.
Roberto Tagliavini veste i panni di un Elmiro
raffinatissimo, dal fraseggio espressivo, dotato di bei colori.
Lo stesso vale per l'elegante Annalisa Stroppa nel ruolo di
Emilia, che mostra una vocalità rotonda e ben omogenea.
Efficace il tremolante Doge di Nicola Pamio e
l'evanescente Gondoliere di Sehoon Moon.
Come sempre bravissimo il Coro del Teatro alla Scala diretto
da Bruno Casoni.
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