Mettere in scena un gigante come Pelléas et Mélisande di Claude
Debussy non è compito facile e al Maggio Musicale Fiorentino
è da riconoscersi il merito di essere sempre in grado di proporre titoli di una
certa ricercatezza, con una riuscita sempre dignitosa, talvolta addirittura
superlativa, come accaduto per il dramma lirico da poco eseguito.
In questa occasione è stata composta una squadra di artisti interamente
italiani molto ben omogenea, capitanata da Gatti e Abbado, che hanno saputo
creare uno spettacolo di altissimo spessore culturale sotto ogni punto di vista.
Protagonista indiscusso di questo poema sinfonico è certamente l'Orchestra
del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Daniele Gatti
che si prodiga in un suono pulitissimo, precisissimo, giocato sui cromatismi dei
piani nelle prime scene per sfogarsi al compimento del dramma e poi tornare ad
essere trasognante, descrittivo di uno stato dell'essere profondo e quasi celato
al mondo dei vivi, come un subconscio mai visto, mai percepito, ma che guida
inesorabilmente la vita e i destini dei personaggi prima e degli spettatori poi,
infiltrandosi in ognuno come un virus violentissimo.
Riuscitissimo è anche lo spettacolo ideato da Daniele Abbado,
con scene e luci di Gianni Carluccio e costumi di
Francesca Livia Sartori, che sa muoversi e danzare dentro e fuori dal
simbolismo, per come è conosciuto, per spingersi al simbolico, suggestivo e
allusivo, elegante e raffinato, ma soprattutto ben omogeneo, ad eccezione del
finale quarto, dove il bacio e l'omicidio sono troppo realistici in uno
spettacolo che diversamente si è sviluppato come un sogno o un delirio.
A parte ciò si può affermare, senza ombra di dubbio, che sia uno degli
spettacoli più belli e meglio riusciti degli ultimi anni, che certamente
meriterebbe un oscar alla fotografia: la gestualità e l'espressività dei
protagonisti efficacemente illuminata e superbamente inserita nella scenografia
fa, di ogni tableau, un vero e proprio capolavoro plastico.
La voce piena e rotonda di Monica Bacelli dona al
personaggio di Mélisande un carattere più compiuto di quanto non ci si
aspetti, pur restando un ruolo tipicamente etereo, onirico, quasi fiabesco.
L'accompagna l'eccellente Pelléas di Paolo Fanale
che sfoggia delle note baritonali da fare invidia ed in questa sede rappresenta
l'esempio lamante che il baritenore non è – come spesso erroneamente creduto –
un tenore corto, bensì un tenore lirico che, mantenendosi leggero lungo una
partitura che lo permetta e lo preveda, scende verso il basso in maniera
naturale, senza ingrossare e forzare i suoni di petto. Precisissimi i suoi
attacchi, pulitissimi i suoni, raffinato il fraseggio, elegante il personaggio.
Superbi gli accenti drammatici di Roberto Frontali nei panni
di Goulad, unico ruolo che in alcuni momenti fuoriesce dal simbolismo
per affacciarsi al realismo con i suoi eccessi d'ira e la sua gelosia
accentuata.
Cavernoso e magistrale è l'autorevole Arkël di Roberto
Scandiuzzi, che sa esprimere perfettamente le caratteristiche da
oltretomba da fiaba noir dell'Allemonde su cui governa, pur perdendosi un paio
di volte in qualche nota non ben appoggiata.
Di buon contorno la Geneviève di Sonia Ganassi, che
sembra qui trovarsi particolarmente a suo agio, tanto nel canto elegiaco, quanto
nel nobile e toccante personaggio.
Ben centrato è il ruolo en travesti del giovane Yniold.
Silvia Frigato ne dà prova sia vocalmente, chiara e limpida, sia nella
recitazione, sicuramente riuscita in modo ottimale.
Molto efficacie è anche Andrea Mastroni, soprattutto nei
panni del medico, dove le frasi profonde obbligano alla presa di coscienza di
quanto sta accadendo.
Entusiastico successo per tutti al termine dello spettacolo.
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