Un grandissimo Gianandrea Noseda ha diretto con somma
ispirazione il Faust di Charles Gounod al Teatro Regio
di Torino e l'eccellente orchestra lo ha seguito, respirando con lui,
con altrettanta grazia, dipingendo un vero e proprio quadro sinfonico ricco di
colori e carico di sentimenti, elegantemente commisurato alla finezza della
musica gounodiana. Suoni precisi e puliti, passaggi accurati e puntuali, forte
equilibrio tra buca e palcoscenico hanno fatto il resto.
Lo spettacolo interamente firmato da Stefano Poda è pura
poesia.
Gran parte dell'allestimento scenico, dell'impianto di regia,
dell'illuminotecnica e delle coreografie ha diverse somiglianze con La
forza del destino di Parma, ma ciò non disturba, anzi sottolinea la
valenza poetica del regista, che trova terreno comune nel romanticismo degli
autori e dei compositori: “dopo lotte e passioni scandite dal Tempo e dal
Destino, quel che rimane è la purificazione”. Poda dimostra, per l'ennesima
volta, di saper fare il suo lavoro con gusto e pertinenza, abile nel governo
delle masse, nella gestualità dei protagonisti, nei movimenti correttamente
scanditi coi tempi, nell'uso delle luci altamente suggestive che accompagnano
ogni singola nota, nei costumi ricercati ma non sovraccarichi, nei simbolismi
chiari ed efficaci, perfetti nel rendere un messaggio chiaro, accanto a porte
aperte alle singole emozioni e sentimenti di ogni spettatore.
Charles Castronovo è un ottimo Faust, pur privo di
slanci particolarmente intensi. La voce limpida e leggera gli consente di
dispiegare più che correttamente le pagine più fini della partitura, con totale
attenzione alla tecnica. Il fraseggio è discreto e forse necessiterebbe di
maggior eloquenza e carico emotivo per risultare più efficace. Buon uso di piani
e pianissimi.
Irina Lungu è migliore nella parte di Marguerite
che non in altre di sua frequentazione, ma resta una cantante dalla bella voce e
tecnica precaria. Sono anni che il soprano russo calca i palcoscenici più
importanti del mondo e forse, contenta della sua carriera e dei copiosi plausi
del pubblico, non si è mai voluta soffermare sul miglioramento procedurale di
quelle che sono le sue doti naturali. Peccato.
Ildar Abdrazakov è il bravissimo cantante di sempre, ma in
Méphistophélès non è a suo agio come nei ruoli cantabili verdiani, non
riuscendo a produrre la medesima morbidezza ed omogeneità nella linea di canto
che solitamente lo contraddistinguono.
Vasilij Ladjuk è un buon Valentin, ma forse un po'
tenorile e la sua vocalità squilla troppo in alto per poter trasmettere un
carattere incisivo e soprattutto diverso da quello di Faust.
Ketevan Kemoklidze è un'ottima Siebel, dotata di
voce piena ed elegante, in grado di prodigarsi in colori e sfumature che
centrano perfettamente il personaggio.
Buona riuscita anche per la Marthe di Samantha Korbey.
Adeguato il Wagner di Paolo Maria Orecchia.
Superbo il Coro del Teatro Regio diretto da Claudio
Fenoglio, che in questa occasione dona una delle sue migliori
performance.
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