Non c'è alcun dubbio che la partitura di Candide sia un
capolavoro in termini sinfonici e di invenzione musicale, un'operetta
assolutamente in grado di stare al pari dei grandi titoli del melodramma, come
pure dei più importanti musical di Broadway. Perciò è necessario che sia
diretta da maestri concertatori di sicuro talento, sul podio di orchestre che
sappiano riconoscere la differenza tra l'opera italiana e la musica
contemporanea d'oltreoceano. Detto ciò la guida di John Axelrod
è una certezza assoluta, provvisto di gesto saldo e vigoroso, puntuale e sicuro,
nonché della giusta lettura stilistica e l'Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino lo segue con suoni precisi e puliti, salvo qualche piccolo e
sporadico intoppo nelle trombe.
La versione andata in scena all'Opera di Firenze è quella della
Scottish Opera del 1988, approntata con il consenso dello stesso
Bernstein ed è un vero successo musicale.
Quanto allo spettacolo, il lavoro di Francesco Micheli
respira in perfetto sincrono con la direzione di John Axelrod
ed è un grande piacere per lo spettatore poter assaporare un tale equilibrio tra
buca e palcoscenico.
Il romanzo di Voltaire è composto di satira e filosofia ancora perfettamente
attuali e che si prestano – anzi, obbligano – ad adattamenti contemporanei, pena
l'assoluta mancanza di significato. Così la Vestfalia si trasforma in una
fabbrica di esseri umani, costruiti con materie prime provenienti da tutto il
mondo – quello visitato da Candide – tramite rapporti di import-export e in
grado di soddisfare le esigenze più disparate. Una fabbrica inserita in un
mercato finanziario feroce, una fabbrica parte di un mondo industriale dove ogni
invenzione diventa presto obsoleta ed è messa da parte, una fabbrica dove tutti,
più o meno consapevolmente, fanno parte di una grande catena di montaggio, che
forse non è il “migliore dei mondi possibili”.
Il lavoro di Francesco Micheli è pressoché perfetto, poiché
riesce a dare un senso – condivisibile o meno – ad ogni parola, ad ogni singola
nota, muovendo con grandissima armonia non solo la lunga lista dei protagonisti
e il copioso Coro del Maggio Musicale Fiorentino, ma anche un
lungo stuolo di attori e figuranti, oltre ai carri di scenografia. Anche la
gestualità poco teatrale, ma più realistica, contribuisce a ridurre la distanza
che spesso si impone tra platea e palcoscenico.
All'eccellente messinscena il resista è coadiuvato da Federica
Parolini alle scene, Daniela Cernigliaro ai
costumi, Angelo Linzalata alle luci,
Alfonso Cayetano alla coreografia.
Keith Jameson, nei panni di Candide, è il solo
cantante ad avere un minimo di liricità, di vocalità adeguata, di sapienza nel
legare i suoni e nel dar senso alla parola attraverso i colori.
Abbastanza adeguato, pur senza segni di spicco, è anche il Maximilian
di Gary Griffiths.
Invece appare un poco limitata la Cunegonde di Laura
Claycomb che a prima vista sembra dinamica e frizzante, ma guardando e
ascoltando con molta attenzione ci si rende conto che tali qualità derivano
dalla partitura e non dall'interprete, che presumibilmente è indisposta,
comunque non in serata e inferiore rispetto a sue precedenti esibizioni. La voce
è uno spillo e corre poco, le note basse non sono pervenute, quelle alte e i
sopracuti talvolta riescono, talaltra sono calanti o gracchianti. E soprattutto
mai si intravede il carattere bipolare del personaggio, che dovrebbe trovare il
suo apice in “Glitter and be gay” tra i momenti di canto spianato e
quelli di agilità.
Più attori che cantanti, risultando pertanto non completamente convincenti in
termini vocali, sono il Pangloss di Richard Suart, la
Paquette di Jessica Renfro e il Cocambo di
Gianluca Di Lauro.
Non troppo efficaci, ma comunque adeguati, i Re di Timothy
Martin, Luca Casalin, Hector Guedes, Christopher Turner, Alessandro Calamai
e il Ragotski di Christopher Lemmings.
Menzione a parte va riservata ai grandi di un tempo, che hanno lasciato,
ciascuno nel suo repertorio, segni indelebili nella storia della lirica.
Chris Merritt veste i panni di un credibilissimo Governatore e
dimostra di avere ancora parecchie cartucce da sparare. Certamente non si può
pretendere un canto sempre omogeneo, appoggiato e in maschera, ma può senza
dubbio fare le scarpe a tanti interpreti più giovani in quanto a grinta, smalto
e slancio negli acuti, oltre a grande simpatia nella recitazione.
Invece Anja Silja, pur efficiente scenicamente, è vocalmente
l'ombra di se stessa e con tale performance non rende certo merito
all'eccellente primadonna che è stata.
Superba Lella Costa nei panni di un Voltaire al
femminile dinamico e spumeggiante, in corsa sui pattini. Voce penetrante,
dizione impeccabile.
Bravissimi i ballerini di MaggioDanza, gli attori e i
figuranti dell'Associazione Culturale Teatro della Limonaia e i
figuranti speciali.
Come sempre eccellente, anche nell'interpretazione, il Coro del
Maggio Musicale Fiorentino guidato da Lorenzo Fratini,
ad eccezione delle parti cantate a cappella dove, per qualche ragione, parte dei
coristi esce dal seminato, ma potrebbe essere un problema di ritardo nei
monitor.
Grande successo per tutti al termine dell'ultima recita dell'opera eseguita a
Firenze per la prima volta.
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