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Recensione opera Un ballo in maschera di G. Verdi al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 11/06/2015

In breve:
Palermo - Recensione dell'opera lirica "Un ballo in maschera" di Giuseppe Verdi in scena al teatro Massimo di Palermo il 24 maggio 2015. Soddisfacente il capolavoro verdiano, sia sul fronte musicale affidato al Maestro Paolo Arrivabeni, sia per lo storico e valido allestimento di Pier Luigi Samaritani, debuttato circa trentacinque anni or sono al Teatro Regio di Parma, con la regia di Massimo Gasparon.


Datato, ma sempre efficiente come quasi tutte le rappresentazioni classiche, il pregiato allestimento soddisfa compiutamente il pubblico del capoluogo siciliano, dopo le ampie riserve su quello precedente del 2006 di Pier Luigi Pizzi, ambientato nel 1960 piuttosto che nel secolo XVII, in cui si distinsero particolarmente il beniamino tenore Vincenzo La Scola, prematuramente scomparso nel 2011 ed il Maestro Stefano Ranzani.

Le revisioni di Massimo Gasparon e le interessanti luci di Andrea Borelli rendono un po' più corrente e snello l'impianto scenografico, dalla prospettiva delle imponenti scale del salone della casa del Conte, al suggestivo antro di Ulrica, all'arredamento centrale dell'appartamento di Renato, sino al salone del ballo dell'atto finale, con la vivacità data dalla ricchezza dei luminosi colori dei costumi, non coadiuvata però per scelta registica da un adeguato movimento dei personaggi, soprattutto per quanto concerne i figuranti ed il coro, che in altre occasioni invece abbiamo visto molto più coinvolti dinamicamente.

La travagliata partitura, ricca di arie orecchiabili, giudicata inizialmente dalla critica molto convenzionale oltre che influenzata dall'opera francese, composta dopo la celebre Trilogia ed i Vespri siciliani, è tra le più complete di Verdi e nonostante la varietà caratteriale dei personaggi del libretto di Antonio Somma e dei loro coinvolgimenti, contiene una raffinata eleganza, unitamente alla sobrietà ed alla leggerezza delle melodie e dei ritmi, oltre a tante pagine ricche di intensa passione e di drammaticità e talvolta anche di aspetti altrettanto ironici.

La direzione affidata all'attenta bacchetta del Maestro Paolo Arrivabeni è sicuramente appropriata.
L'esperto Direttore d'orchestra internazionale mantiene un perfetto equilibrio di colori e di intensità tra l'orchestra e le voci dei solisti e del coro, con un preciso stacco dei tempi, in linea con l'eleganza e la raffinatezza richieste dal compositore.
L'ouverture dell'opera che contiene i motivi conduttori ed il preludio del secondo atto sono esemplari dal punto di vista sinfonico; si distinguono nettamente i timbri di tutti gli strumenti anche nei piani e nei pianissimi con un corretto equilibrio tra gli archi ed i fiati.

Sul piano vocale del cospicuo cast, l'asse è centrato sul sofferto trittico di Riccardo, Amelia e Renato, affiancati dal paggio Oscar e dai sicari Samuel e Tom.

Roberto Aronica, apprezzato tenore in carriera, esordisce a primo atto nelle eleganti vesti di Riccardo, segretamente innamorato della moglie del suo migliore amico e segretario, in “La rivedrai nell'estasi ” un po' cautamente forse a causa della voce ancora fredda, poi nel contesto dello spettacolo riesce a centrare appieno il personaggio con indubbie qualità di lirico spinto, dalla corretta emissione in tutta l'estensione, per bellezza di colori e ricchezza di armonici e dal potente squillo tenuto con sicurezza, nonché con efficace lettura del personaggio nobile, fiero e dignitoso, nei romantici accorati duetti con Amelia, in “Ma se m'è forza perderti ” e sino a “Ella è pura, in braccio a morte ” nella coinvolgente scena finale.

Dell'Amelia della giovane Soprano ucraina Oksana Dyka, dotata di una bella e squillante voce dal timbro di lirico spinto, di rara estensione e sicuramente adatta alle eroine verdiane, in questa valida replica domenicale si apprezza il buon stile di canto tecnicamente valido, l'attento fraseggio e la cura dei legati nelle due importanti arie “Ma dell'arido stelo divulsa ” e “Morrò ma prima in grazia ”, nella scena del cimitero del drammatico secondo atto ed all'inizio del terzo, oltre che nella cabaletta con RiccardoO qual soave brivido ”, eccezion fatta per taluni piccoli difetti di dizione.

Il passionale trittico è completato dal distinto e nobile Renato con curata professionalità dal Baritono in carriera Giovanni Meoni, che abbiamo tanto apprezzato nell'ottimo Jago nell'Otello dello scorso anno al Teatro Massimo. Nobile, lirico nel cantabile “Alla vita che t'arride ” del primo atto ed ugualmente di drammatico spessore nella più bella aria verdiana per baritono “Eri tu che macchiavi quell'anima ” all'inizio del terzo e nella scelta di vendicarsi nei confronti di Riccardo, risolve il ruolo con sicurezza di accenti e di fraseggio nel suo registro ben esteso e senza particolari portamenti.

Meno credibile invece la mezzosoprano-contralto Tichina Vaughn nelle vesti della maga Ulrica.
Da un'esperta verdiana come l'artista americana, ci si aspetta un miglior approfondimento nella parte, sia musicale, sia interpretativo, nonostante la voce sia ricca e poderosa e non tema le sonorità più intense dell'orchestra in tutta l'estensione del suo ruolo, ma penalizzata da un vibrato naturale e da una dizione dall'evidente accento americano. Ad ogni modo il suo esordio nell'invocazione “Re dell'abisso affrettati ” è coinvolgente, favorito dal suggestivo ambiente e dall'efficace gioco di luci.

Non meno importanti nel cast i due dignitosi e validi Bassi Paolo Battaglia e Manrico Signorini, rispettivamente nelle piccole parti di Samuel e Tom, fondamentali nella congiura del terzo atto con Renato, oltre il paggio Oscar en travesti della giovane soprano Zuzana Marková, che conferisce al ruolo la corretta leggerezza musicale, elegante e signorile, dalla ballata “Volta la terrea fronte alle stelle” del primo atto alla canzone “Saper vorreste ” nel terzo, con seducenti colorature e sicure agilità. Altrettanto dignitosi il Basso Nicolò Ceriani -Silvano ed il Tenore Cosimo Vassallo - Giudice e Servo di Amelia.

Il pregiato Coro è ben diretto da Piero Monti, nel primo atto “Posa in pace, a bei sogni ristora” è eseguito con una raffinata leggerezza; cresce poi nell'intensa stretta del concertato “Sia condannata” contro Ulrica ed al termine nella festa da ballo con “Fervono amori e danze”.
Buona pura la coreografia di Amedeo Amodio.

Come si diceva in premessa, quasi sempre gli allestimenti classici sono soddisfacenti come in questo caso, assicurandone il beneplacito del gremito pubblico appagato anche per l'aspetto musicale, con vivi consensi a scena aperta al termine delle arie soliste e degli insiemi e con entusiasmo alla chiusura del sipario per tutti gli artisti e per la Direzione d'orchestra.

Quello che più conta, indipendentemente da talune naturali imperfezioni, è lo Spettacolo nel suo complesso.

 
 
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