Dopo oltre quaranta anni l'indiscusso capolavoro di LeòÅ¡ Janáček
torna sul palcoscenico del Teatro Comunale di Bologna e troppi sono i
posti rimasti vuoti nonostante le promozioni attivate dalla biglietteria. Ciò
dimostra nuovamente la costante preoccupante di un pubblico troppo poco
interessato al repertorio meno comune, anche di fronte all'eccellenza di
partiture come quella di Jenůfa.
Tra l'altro questa infiammante occasione bolognese ha messo insieme più di un
motivo che avrebbe dovuto spingere melomani e amanti della musica classica a
presenziare: la direzione del talentuoso Juraj Valčuha, un cast
vocale di alto livello e una rappresentazione teatrale magnifica sotto ogni
punto di vista, oltre alle eccellenti masse artistiche del Comunale.
Lo spettacolo ideato da Alvis Hermanis è di un impatto
emotivo formidabile, incalzante ed incessante, perfettamente in sincrono con la
splendida musica di Janáček. È come se il regista lettone fosse riuscito a dare
forma a gesti e movimenti in sintesi drammatica con la partitura, mentre scene e
costumi sono più in linea con il libretto, che in primo e terzo atto sembra
quasi discosto dalla forza spaventosa delle melodie terribilmente cadenzate
dallo xilofono. Il secondo atto è il momento in cui si svolge la vera tragedia
ed è di una semplicità struggente e realistica.
 Allo stesso modo le stupende coreografie di Alla
Sigalova, riprese da Anaïs Van Eycken, si discostano
dalla gestualità quasi meccanica dei protagonisti contribuendo ulteriormente a
dare quel senso di angoscia crescente già dipinto dalla musica stessa. Stupendo
è altresì lo scorrere continuo dei capolavori plastici dell'Art Nouveau ceca, ad
opera del video di Ineta Sipunova, sfondo naturale del tragico
dramma, così come lo erano al tempo in cui Janáček componeva.
Insostituibili i bellissimi costumi di Anna Watkins.
Eccellente la drammaturgia di Christian Longchamp.
Efficacissime le luci di Gleb Filshtinsky.
Il bravissimo Juraj Valčuha, sul podio della precisa
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, dirige Jenůfa come se
fosse una lunga sinfonia, con estrema disinvoltura e naturalezza, in fusione con
la partitura, tanto nelle pagine più melodiche, quanto in quelle più
drammatiche, passando omogeneamente per i tratti folkloristici.
Andrea Dankova esegue il ruolo della protagonista in maniera
superlativa. L'interpretazione è azzeccatissima, quasi una marionetta in primo e
terzo atto, per esprimersi mesta, dolce, figlia addolorata e madre disperata in
secondo. La linea di canto è morbidissima, ben uniforme dalle note più gravi
fino alle più acute, dai pianissimi ai fortissimi.
Inarrivabile, incomparabile, più unico che raro è il personaggio di
Kostelnička letteralmente incarnato da Angeles Blancas Gulìn,
che dona una prova da togliere il fiato. Forse non tutti gli acuti in forte sono
propriamente puliti, quasi urlati, ma rendono la tragedia e il suo delirio
ancora più veri e realistici.
Squillante e musicale è il Laca di Brenden Gunnell;
luminoso ed armonico è lo Å teva di Ales Briscein;
entrambi ben centrati nei loro rispettivi ruoli, sia vocalmente, sia nella
recitazione.
Più che positiva anche la prova di tutti i comprimari, capitanati da una ben
timbrata Gabriella Sborgi nei panni della nonna:
Maurizio Leoni, Luca Gallo, Monica Minarelli, Leigh-Ann Allen, Arianna Rinaldi,
Roberta Pozzer, Sandra Pastrana, Grazia Paolella.
Sempre bravissimo il Coro del Teatro Comunale di Bologna
guidato da Andrea Faidutti.
Ovazioni da stadio per tutti gli interpreti al termine dello spettacolo,
soprattutto per Angeles Blancas Gulìn e Juraj Valčuha.
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