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Recensione opera La Traviata di Giuseppe Verdi al Maggio Musicale Fiorentino

William Fratti, 22/04/2015

In breve:
Firenze - Recensione dell'opera La Traviata di Giuseppe Verdi in scena al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze l'8 aprile 2015.


Mettere in scena una Traviata degna di essere ricordata negli annali della storia dell'opera italiana non è cosa facile, soprattutto oggi, poiché vittima della sua stessa popolarità, vittima di una tradizione musicale e canora che l'hanno snaturata, vittima delle difficoltà insite nelle parti, anche le più piccole, che portano spesso alla scelta di interpreti sbagliati.

Violetta non ha nulla di diverso da Abigaille, da Gulnara o da molti altri ruoli del giovane Verdi. La vocalità è la stessa, cambia solo il carattere che diventa più o meno eroico, dunque è solo una questione di accenti. Le agilità di “Sempre libera” non sono molto diverse da quelle di Amalia e la tessitura arriva al re come Giovanna d'Arco. Il famoso mi bemolle – non scritto – lo si può fare – e molte cantanti lo fanno – più o meno in quasi tutte le opere precedenti a La traviata. E lo stesso vale per Alfredo. Per non parlare di Flora, Annina, Gastone e Grenvil.

È la tradizione che ha portato questo titolo a essere eseguito da vocalità leggere, ma si tratta di un errore filologico, nonché musicale, di portata molto ampia.

Eva Mei è la bravissima e raffinata cantante che conosciamo e anche in questa occasione non si smente. Nel duetto con Alfredo è una grande cesellatrice di agilità e appoggiature, nel duetto con Germont è un'eccellente fraseggiatrice, in “Addio del passato” è esemplare nell'esecuzione dei pianissimi e dei legati e mostra un suono pulitissimo. Ma l'intensità che deve trasmettere nell'interpretazione è solo nelle sue intenzioni e arriva al pubblico solo a tratti. All'apertura dell'opera e al successivo brindisi, la sua vocina non si confà al personaggio autorevole e disinvolto della padrona di casa e i recitativi sono quasi sempre senza corpo o spessore. Lo stesso vale per “È strano” che, pur essendo ben cantato, manca di quella grinta imprescindibile in Violetta.

I medesimi demeriti sono da tributare all'Alfredo di Ivan Magrì, che possiederebbe il materiale necessario al ruolo, ma non sfrutta adeguatamente il suo slancio naturale – che invece ha dimostrato di saper usare in precedenti ruoli drammatici donizettiani – ed abbisognerebbe di un “tagliando” tecnico, soprattutto per il vibrato eccessivo, che nel lungo termine potrebbe portarlo fuori strada nel giusto appoggio e dunque nell'intonazione.

Contrariamente agli altri protagonisti Paolo Gavanelli porta in scena un personaggio riuscitissimo, autoritario nelle sembianze, fermo nei suoi propositi, dolce dove occorre, paterno nei sentimenti. Il suo Germont è sinceramente toccante e il fraseggio è emozionante, soprattutto nelle frasi con lunghi piani e smorzature. Purtroppo la vocalità non è piacevolissima e la linea di canto è un poco discontinua, quindi con la sua interpretazione si guadagna in intensità ma si perde in qualità musicale.

Il lungo stuolo dei comprimari è abbastanza mediocre, talvolta non pervenuto. È composto da Anastasia Boldyreva, Simona Di Capua, Enrico Cossutta, Francesco Verna, Italo Proferisce, Alessandro Spina, Davide Cusumano, Vito Luciano Roberti, Nicolò Ayroldi. Molti di questi artisti sono già stati uditi in altri ruoli con risultati positivi. Il fatto che in questo titolo non riescano a farsi notare è ulteriore prova del fatto che non sono parti semplici, seppur brevi.

Anche la direzione di Zubin Mehta è abbastanza anonima. È sempre maestro di precisione e mai si permette di sovrastare gli interpreti, ma l'uso di colori e sfumature è molto comune. Addirittura la sua eccellente Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino commette qualche errore nelle prime battute dopo il preludio. Inoltre, dal celebre direttore, ci si sarebbe aspettati un'edizione comprensiva della strofa “A me fanciulla”, del da capo delle cabalette degli uomini, degli interventi del Dottore e poi anche del Marchese e di Flora in “Su via, si stenda un velo”, delle frasi conclusive di Alfredo, Annina, Germont e Grenvil al termine dell'opera.

Bravo il Coro preparato da Lorenzo Fratini.
Infine lo spettacolo di Henning Brockhaus con scene di Josef Svoboda, costumi di Giancarlo Colis e coreografia di Valentina Escobar non ha bisogno di presentazioni, poiché ha compiuto più di venti anni, ma è ancora efficacissimo e soprattutto un ottimo esempio di risparmio intelligente in tempi di crisi: i teatri italiani sono stracolmi di bellissimi allestimenti tuttora funzionali che giustamente devono circuitare e portare alto il nome del nostro Paese e del nostro saper fare cultura.

 
 
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