Il Teatro Carlo Felice di Genova invita il celebre regista
Dario Argento a cimentarsi con il melodramma per la sua prima
volta. Chi si aspettava, da questa Lucia di Lammermoor, uno
spettacolo splatter o spaventoso è indubbiamente rimasto deluso. Solo per
qualche secondo fanno la loro comparsa un coltello e un assassinio alla maniera
di Profondo rosso quando Lucia uccide Arturo (siparietto
inelegante e bruttino, che avrebbe potuto essere reso diversamente); appare
anche l'ombra della fonte (la brava Fabiola Di Blasi), nuda e con i
capelli lunghi, scuri e bagnati, appiccicati sul volto, come in alcune scene di
Inferno, Tenebre e Phenomena; la protagonista, durante la scena della pazzia, è
completamente imbrattata del sangue del neo sposo appena accoltellato. E tutto
si ferma qui; sono gli unici momenti in cui succede qualcosa, i soli istanti in
cui c'è la regia, mentre il resto è piatto e noioso.
Il coro è sempre fermo e spesso in disordine; controscene non ce ne sono,
tranne appunto l'ombra della fonte; i protagonisti sono fissi in scena, a parte
la sola Lucia durante “Il dolce suono”. Sembra lo spettacolo
di un giovane apprendista alla prima esperienza. Addirittura durante il
matrimonio, quando tutti attendono l'ingresso della sposa, pur avendo a
disposizione la grande scalinata del palazzo che presumibilmente conduce alle
camere, ella entra dal lato come se fosse la portinaia. Concludendo, il lavoro
di regia di Argento delude molto: senza scendere nell'ambito
soggettivo di bello o brutto, si può obiettivamente affermare che è stato fatto
con poca accuratezza.
Migliore è la realizzazione delle scene di Enrico Musenich,
soprattutto la prima del bosco e l'ultima del cimitero, mentre l'interno del
palazzo degli Ashton, pur avendo dei criteri di architettura
interessanti, ha dei colori che riconducono molto alla cartapesta e lo rendono
poco realistico. Sarebbe inoltre stato interessante il telo dipinto della casa
dei Ravenswood se fosse stato immobilizzato con dei tiranti invece di
protendersi verso il proscenio a causa della corrente d'aria; infine la lampada
elettrica nella stessa scena, è alquanto fuori tempo e fuori luogo: che nessuno
si sia accorto di questo errore è davvero… illuminante!
Ben confezionati sono i costumi di Gianluca Falaschi
anche se l'aver vestito gli uomini con abiti ottocenteschi e le donne
nello stile del primo rinascimento alla maniera preraffaellita ha ben poco senso
e certamente non aiuta lo spettatore a entrare emotivamente nella vicenda.
Adeguate le luci di Luciano Novelli.
Il sollievo dalla noia lo si deve soprattutto a Giampaolo Bisanti
che, nonostante la staticità di ciò che avviene in palcoscenico, compie un buon
lavoro di amalgama tra orchestra, cantanti e platea, ma a questo punto avrebbe
potuto sortire il medesimo buon risultato anche in forma di concerto. Il suo
carattere distintivo è indubbiamente il dialogo con gli interpreti, che sono
sempre supportati, mai sovrastati col suono, seguiti nel loro fraseggiare a
favore di una più ampia resa passionale e sentimentale. Eccellente il difficile
finale secondo. Orchestra e coro non sono precisi in ogni momento, ma i segni
del bravo direttore non sembrano affatto colpevoli, anzi, in certi passaggi sono
serviti a rientrare sui giusti binari.
Desirée Ranatore, oggi riconosciuta come un delle migliori
interpreti di questo ruolo da tutto il panorama lirico internazionale, accetta
comunque di cantare nonostante colpita da un violento virus influenzale. Chi la
conosce di persona la vede palesemente indisposta. Chi ricorda la meraviglia di
altre sue esecuzioni di Lucia, sente la differenza , poiché dai numeri
uno ci si aspetta sempre il meglio. Ma Rancatore deve essere
ringraziata per non avere rinunciato, per non avere abbandonato il suo pubblico,
per aver cantato con una tecnica talmente salda e ferrea da potersi considerare
inferiore solo a se stessa, quando è in perfetta salute. Questo è il vero modo
di cantare, di saper adoperare il proprio strumento. Meritatissime le ovazioni a
lei tributate dopo la scena della pazzia e al termine dello spettacolo.
Lo stesso non vale per Gianluca Terranova, che sfoggia una
delle più belle voci tenorili dell'ultimo ventennio – splendente nel timbro,
vellutata nel colore – ma con un livello tecnico ridotto al minimo
indispensabile. E ciò fa parecchia rabbia, poiché potrebbe davvero essere
qualcuno e lasciare un segno nella storia della lirica, ma se continua così
rischia di esaurirsi presto, proprio come la bellezza perlacea di un viso
giovane sfiorisce col passare degli anni. Il suo Edgardo è particolarmente
piacevole ad un ascolto approssimativo, soprattutto perché è onesto e generoso,
ma se si porta attenzione si sente chiaramente dove arriva la natura e dove
manca la tecnica.
Stefano Antonucci, come già detto in altre occasioni, è un
cantante corretto e la sua linea di canto si trova particolarmente agiata nella
zona acuta, grazie a cui riscuote sempre un grande successo, ma nelle note basse
è molto affaticato e risultano pasticciate o parlate. Il colore del suo
Enrico è abbastanza piacevole, ma in certi momenti risulta opaco, i fiati
sembrano corti e pare perdere di elasticità.
Giovanni Battista Parodi veste i panni di Raimondo
in tutte le recite, anche in sostituzione di Orlin Anastassov.
La sua naturale presenza scenica, ma soprattutto il saper portare nelle proprie
interpretazioni gli insegnamenti avuti dai grandi registi con cui ha lavorato,
fa dei suoi personaggi eleganti e autoritari un segno distintivo. Complice anche
una vocalità particolarmente adatta ai ruoli del belcanto romantico, dove
occorrono una tecnica salda, un'estensione reale e non celata dietro falsi
compromessi, nonché una certa duttilità, il tutto arricchito da un fraseggio
espressivo.
Enrico Cossutta è un Normanno efficace, un po'
nascosto dal coro nelle pagine d'assieme.
Adeguato è l'Arturo di Alessandro Fantoni.
Abbastanza anonima è l'Alisa di Marina Ogii.
Sufficiente la prova del Coro del Teatro Carlo Felice
diretto da Pablo Assante.
Scroscianti applausi per tutti al termine dello spettacolo, soprattutto per
la stella Rancatore, visibilmente commossa nel ricevere tanto meritato successo.
|