Dopo Le nozze di Figaro il Teatro Municipale di Piacenza
ospita Don Giovanni in attesa di terminare nei prossimi due anni la trilogia
Mozart-Da Ponte – sempre sotto la guida di Cucchi-Sisillo – con
Così fan tutte.
Alessanro Luongo dimostra ancora una volta di essere un protagonista eccellente, non solo nell'interpretazione vivace e avvenente, ma soprattutto soddisfacente da un punto di vista vocale. La sua linea di canto ben omogenea sta facendo spazio ad una luminosità ben manifesta che in questo repertorio vede certamente una delle sue massime espressioni. Degna di particolare nota è la serenata, ricca di colori, eccellente nel fraseggio, sublime nelle mezze voci. Purtroppo in questa performance non lo si ode eseguire certe finezze e sfumature come in altre occasioni, forse complice una direzione lassa e pesante.
Lo stesso vale per la Donna Anna di Yolanda Auyanet, cantante raffinata ed elegante, ben attenta a ciò che fa e sempre misurata. La resa della serata piacentina è abbastanza buona, ma è noto che la soprano sa fare di meglio in termini di rotondità di suono, di morbidezza di certi passaggi, di gusto e di stile, che in questo caso tendono a venire meno, presumibilmente per la medesima motivazione di una direzione poco consona, non in grado di sostenere l'interprete in palcoscenico.
Come sempre bravissimo Roberto De Candia nei panni di
Leporello anche se, considerando le sue recenti eccellenti performance canore fuori dai suoi soliti ruoli, fanno presumere che la vocalità del baritono si stia pian piano allontanando dal vecchio repertorio, in cui non brilla più come un tempo, mentre sembra risplendere in altre parti.
Impressiona positivamente anche la prova di Raffaella Lupinacci
nei panni di Elvira, ruolo di non facile interpretazione, dove occorre saper equilibrare la drammaticità teatrale con l'eleganza dello stile musicale. Il personaggio della psicopatica impasticcata e reso fin troppo bene, tanto da infastidire. Il canto è ben omogeneo, anche nei difficili passaggi dove molte colleghe risultano stridule o calanti.
Molto bene l'esecuzione vocale di Francesco Marsiglia, che aveva lasciato intuire le sue capacità già nei primi anni di carriera. Nella prima aria sfoggia una raffinata delicatezza di canto che trova il suo apice nelle belle mezze voci, anche se qualche nota non è propriamente ben appoggiata. È un poco meno morbido e preciso nella seconda aria, ma la resa complessiva è più che positiva.
Successo personale decretato dal pubblico piacentino per la Zerlina di
Ayse Sener, studente del CUBEC. Fino agli anni Novanta gli spettatori del Municipale avevano il palato fine e sapevano riconoscere il bel canto dal mal canto. Oggi sembrano non curarsene e preferire le voci che superano una certa soglia di decibel, indipendentemente dalla correttezza dell'esecuzione, applaudendo nelle recenti stagioni interpreti urlatori e urlatrici. Con questo non si vuole disapprovare l'interpretazione della giovane soprano, che comunque possiede una bella voce seppur molto acerba e ha saputo rendere il ruolo con estrema efficacia, ma la si vuole discriminare, poiché errori e imprecisioni sono stati tanti, mentre altri colleghi meno applauditi hanno fatto certamente di meglio.
Buono anche il Masetto di Fumitoshi Miyamoto e abbastanza adeguato il
Commendatore di Antonio Di Matteo, anch'egli dotato di una gran voce, ma necessaria di miglioramento, poiché molto impastata, opaca e di difficile portabilità nelle zone grave e acuta.
Sufficiente la prova del Coro Lirico Amadeus diretto da
Stefano Colò.
Della direzione soporifera di Aldo Sisillo si è già detto, poco efficacie nel dialogo col palcoscenico, come pure nei colori e nelle sfumature.
Della regia di Rosetta Cucchi, seduta in un palco ma non comparsa alla ribalta al termine della rappresentazione, va detto che le idee sono buone – in questo repertorio è solitamente molto brava – ma la sua realizzazione è stata poco espressiva dei concetti di base e soprattutto troppo visibilmente low cost. Gli spunti interessanti ci sono, ma sono talmente nascosti dietro un'accozzaglia inelegante di cineserie che non ci se ne accorge nemmeno, ma che possono tornare in mente solo ripensandoci successivamente con attenzione.
La trasposizione agli anni Ottanta e agli anni della perdizione sessuale, delle droghe e dei costumi facili è vincente, ma rappresentata con
scene e costumi – firmati da Andrea De Michli e Claudia Pernigotti – che si sarebbero potuti comprare da Satur Passione Casa e da Jin Hao Mercatone è inguardabile.
Per non parlare delle luci oratoriali di Andrea Ricci.
Validissima l'idea della ferita inferta dal Commendatore a Don Giovanni, come pure quella delle pasticche di
Donna Elvira.
Completamente fuori dalla filologia il ricordo dello stupro di
Donna Anna nel taxi mentre recita “quando nelle mie stanze, ove soletta mi trovai per sventura” o la spiegazione di
Leporello a Donna Elvira che prende per mano una ragazza mora mentre canta “nella bionda egli ha l'usanza”. Piccolezze, ma che potevano essere evitate.
Di totale inutilità Juan Manzano e Martina Monaco che in locandina sono presentati come danzatori, ma dovrebbero comparire come figuranti, poiché non conoscono l'eleganza con cui si cammina, si mette un braccio o si allunga una gamba.
Il pubblico di metà platea è scappato alla chiusura del sipario, senza neppure attendere l'uscita dei cantanti. Peccato, poiché i solisti meritavano davvero un applauso.
|