Mettere in scena ed in musica L'incoronazione di Poppea di
Claudio Monteverdi – in parte attribuita a Francesco
Cavalli – non è cosa facile, innanzitutto per le confuse e le dubbie
provenienze dello spartito.
Rinaldo Alessandrini, esperto conoscitore del compositore
cremonese, compie – come scritto in locandina e spiegato nel programma di sala –
una collazione acritica, revisione, completamento ed edizione dei manoscritti
cosiddetti di Venezia e di Napoli e ciò che ne scaturisce è un'esecuzione di
alto livello musicale, precisa, accorta e di gran classe, soprattutto rispettosa
dello stile originario dell'epoca di composizione. Lavoro eccellente,
sapientemente seguito dai quindici musicisti presenti in buca.
Lo spettacolo interamente firmato da Robert Wilson, che
rimanda evidentemente al teatro elisabettiano, è un tripudio di raffinatezza ed
eleganza. La suggestiva scenografia, realizzata con la collaborazione di
Annick Lavallée-Benny, allude all'antica Roma, mentre i bellissimi
costumi di Jacques Reynaud si rifanno al tempo di
Monteverdi, dunque al primo Seicento italiano.
La regia di Wilson, coadiuvato da Tilman Heckner,
da Fani Sarantari nei movimenti coreografici e da Ellen
Hammer alla drammaturgia, è di gusto ricercato e finissimo, interamente
concentrata sulla gestualità e la mimica. Il palcoscenico è pressoché vuoto e
freddo, in modo tale che la concentrazione dello spettatore non si sposti mai
dai singoli personaggi, dunque dalle bellissime parole del libretto di
Giovan Francesco Busanello.
Miah Persson è una brava e corretta Poppea, ma non
spicca né per il canto, né per l'interpretazione e altrettanto buona è la prova
del Nerone di Leonardo Cortellazzi, soprattutto nel
delicatissimo duetto con Lucano; ma per entrambi è abbastanza udibile
il fatto che non siano specializzati in questo tipo di repertorio.
Entusiasmante, soprattutto sotto il profilo drammaturgico, l'Ottavia
di Monica Bacelli, che mostra anche una certa naturalezza e
morbidezza nella linea di canto, omogenea e pulita. “Disprezzata regina”
è elettrizzante.
Altrettanto eccellente è l'Ottone di Sara Mingardo,
che in alcuni passaggi esegue dei suoni davvero bellissimi. Ottimi i pianissimi.
È toccante in “Otton, torna in te stesso!”.
Bravo Andrea Concetti nei panni di Seneca, anche se
si sarebbe preferita una voce più scura.
Molto buona la resa vocale della Drusilla di Maria Celeng,
come pure quella dell'Arnalta di Adriana Di Paola, che
si distingue soprattutto per il gusto baroccheggiante.
Bravissimo il Mercurio di Luigi De Donato,
piacevole il Lucano di Luca Dordolo, efficacie l'Amore
di Silvia Frigato. Adeguata è anche la nutrice di
Giuseppe de Vittorio, pur con qualche passaggio non troppo
pulito.
Concludono il cast Furio Zanasi, Mirko Guadagnini, Andrea Arrivabene
e Monica Piccinini.
Lunghi e meritati applausi per tutti gli interpreti – soprattutto per
Mingardo e Bacelli – al termine di una impercettibilmente lunga, elegantissima
serata.
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