Come già accaduto in altre occasioni, anche con Giulio Cesare di
Georg Friedrich Händel, prodotto per L'Opéra di Parigi
e riproposto al Teatro Regio di Torino, Laurent Pelly
dimostra di essere un eccellente professionista della regia, anche se
manca decisamente di un certo gusto e di una sicura eleganza indispensabili per
il pubblico italiano. Lo dice anche l'alta moda: la classe e il garbo stanno di
casa nel Bel Paese, mentre oltralpe si tende spesso ad essere un poco più
raffazzonati nell'abbinare e nel rappresentare.
L'idea, anche se non originale, è buona. Lo schema di Una notte al
museo pare perfetto per rappresentare un'opera così priva d'azione e
soprattutto relativa ad una vicenda fin troppo raccontata al cinema e alla tv
tanto da entrare stabilmente nell'immaginario collettivo, anche di chi ha visto
il viso di Liz Taylor solo su YouTube. Ciononostante – e anche a dispetto di una
cura precisa nella filologia in considerazione della trasposizione – il
risultato sarebbe ottimo se lo spettacolo fosse stato riproposto in altra città
mitteleuropea, dove gli spettatori stanno forse poco attenti alle parole e non
si sconcertano nel ridere allegramente delle stupide macchiette dei
protagonisti.
Per un qualunque melomane italiano è sinceramente esecrabile anche il solo
pensarlo. Ed è da qui – e purtroppo per tutta la durata dell'opera – che si
evince il cattivo gusto di Pelly, dove Cesare cerca di toccare
intimamente Cleopatra, mentre Nireno e Tolomeo sono
inutilmente ed eccessivamente effeminati oltreché provvisti di comportamenti che
starebbero bene solo nel repertorio comico o in uno spettacolo di drag queen.
Infine sorge spontanea la domanda se tutto ciò è successo per caso o – ancora
peggio – è stato fatto apposta.
Molto efficaci sono i costumi disegnati dallo stesso Pelly e
le scene di Chantal Thomas, anche se dopo il primo
atto diventano decisamente noiose. Non particolarmente accattivanti le luci di
Joël Adam.
Sul fronte musicale il direttore Alessandro De Marchi compie
un ottimo lavoro. Forse la prima parte dell'ouverture non è così superba, ma
tutto il lungo dramma è condotto con mano sicura e ritmo raffinato.
Sonia Prina è indiscutibilmente una dei migliori Giulio
Cesare in circolazione. Volendo cercare il pelo nell'uovo, nel corso della
lunga opera, qualche nota acuta e qualche nota grave non sono riuscite alla
perfezione, ma il complesso dell'esecuzione è da valutarsi più che
positivamente.
Anche la Cleopatra di Jessica Pratt è molto buona e
la soprano è sempre la brava cantante che conosciamo, ma è giusto segnalare che
il suo stile ha poco a che fare col barocco. Tra l'altro vuole strafare con le
variazioni e non le riescono così precise. Buona, anche se non propriamente
opportuna come già detto, la resa belliniana di “Se pietà di me non senti”
e “Da tempeste il legno infranto” inizialmente di gusto rossiniano, poi
donizettiano.
Eccellente Sara Mingardo, che si riconferma elegantissima
specialista del ruolo di Cornelia. Le sta accanto l'altrettanto brava
Maite Beaumont nei panni di un Sesto morbido e
delicato. Il loro duetto a conclusione di primo atto è decisamente la pagina
migliore della rappresentazione, dove entrambe le interpreti mostrano una linea
di canto stilisticamente corretta, omogenea e ben riuscita nell'accento nonché
nell'interpretazione.
Molto ben riuscito il Tolomeo di Jud Perry, anche
se in alcuni momenti le sue note basse lasciano sentire un registro tenorile, ma
la prova è nel complesso decisamente buona, come pure quella di Riccardo
Angelo Strano nei panni di Nireno, dotato di voce morbida e
vellutata.
Efficace l'Achilla di Guido Loconsolo, anche se in
“Tu sei il cor di questo core” qualche acuto risulta un poco
stiracchiato. Opportuno Antonio Abete nei panni di Curio.
Buona la brevissima prova del coro diretto da Claudio Fenoglio.
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