La crisi economica del Teatro Regio di Parma sembra
purtroppo non avere fine. È dal commissariamento del Comune nell'autunno 2011
che la massima istituzione culturale della città sembra cadere nel baratro e
ancora non si vede il fondo. Gli anni d'oro in cui si poteva assistere a quasi
una decina di spettacoli annui con la partecipazione di artisti di alto livello
internazionale sono ormai lontani. E c'è chi, per strada, saluta i vecchi
dirigenti di una volta con una punta di nostalgia.
Fare l'opera a Parma, e soprattutto Verdi, è una questione
delicata. La ricetta delle grandi fondazioni è un peso troppo grande e le
soluzioni dei teatri di provincia sono inadeguatamente minuscole di fronte a
quel titano che è il Regio. Solo cercando in città si può
venire a capo dell'enigma e bisognerebbe farlo prima che sia troppo tardi. In
questi anni qualcosa è piaciuto e qualcosa no, anche se il loggione non si fa
più sentire come un tempo, forse per timore di arrivare alla tanto scongiurata
chiusura. E così, dopo una brevissima stagione che ha avuto più bassi che alti,
finalmente arriva il Festival Verdi, che di Festival ha solo il
lungo elenco delle manifestazioni collaterali, ma l'opera è una sola; due se si
conta La traviata in scena a Busseto con i
giovani del 52º Concorso Internazionale Voci Verdiane. Anche a
Pesaro si allestisce Il viaggio a Reims con i cantanti dell'Accademia
Rossiniana, ma con modalità ben distinte e un cartellone principale ben più
ricco. Forse, sommando i costi di tutti gli eventi paralleli, si sarebbe potuto
avere almeno il budget per un'opera in forma di concerto, migliorando
notevolmente l'umore del pubblico.
Il solo spettacolo presente sul palcoscenico del Regio è La forza del
destino, nella produzione interamente firmata da Stefano Poda
nel 2011, che ai parmigiani era piaciuto poco fin dalla prima volta, ma che ha
una suggestione poetica davvero toccante. Non c'è alcunché di realistico in
questo allestimento, ciononostante è una rappresentazione del vero mediante una
visione onirica, come se si guardasse al mondo attraverso i sogni, che altro non
sono che l'elaborazione della realtà stessa. Non serve aggiungere altro, poiché
ne esiste in commercio il video, se non che, ove c'era spazio per il
miglioramento con qualche piccola modifica, ciò è stato fatto, incrementandone
ulteriormente l'eleganza.
Sul podio è il talentuoso Jader Bignamini che, pur dirigendo
con estrema cura la Filarmonica Arturo Toscanini, non riesce a
prodigarsi in quelle sublimazioni di colori e sfumature con cui aveva guidato
Simon Boccanegra lo scorso anno. Alcune parti riescono
particolarmente bene, altre meno, forse anche per la discontinuità nella qualità
degli strumentisti e dei cantanti. Riguardo l'orchestra un plauso è da
riservarsi all'arpa. Incostanza che si nota anche per il Coro del Teatro
Regio di Parma che in questa occasione è diretto da Salvo Sgrò.
Eccellenti gli uomini nella scena della vestizione, nella successiva “La
Vergine degli Angeli” e in “Compagni sostiamo”. Meno riusciti gli
interventi dell'osteria e del quadro conclusivo di terzo atto.
Virginia Tola compie il passo più lungo della gamba. È molto
lodevole notare l'amore che le porta il pubblico di Parma, ciò non toglie che, a
essere obiettivi, la parte vocale di Leonora la uccide al punto di non
permetterle neppure di trovare un fraseggio espressivo o un minimo di colore,
risultando inelegante, noiosa e spesso affaticata. Anche dove cerca un poco di
finezza con piani e pianissimi, il suono non è ben timbrato e non si sente in
fondo alla sala. Se Virginia Tola merita un premio, lo merita
certamente per l'impegno, poiché questo è evidente. Ma continuare a cantare
queste cose può esserle molto pericoloso.
Più in parte è Roberto Aronica, anche se deve avere notato
una certa stanchezza derivante dal ruolo, poiché in primo atto sembra
risparmiarsi, come se fosse solo il riscaldamento per la vera recita che inizia
dal terzo. Davvero commovente la resa del duettino “Or muoio tranquillo”
e abbastanza buona quella dei due duetti “No d'un imene il vincolo” e “Le
minacce, i fieri accenti”, anche se non ci sono lo slancio e lo squillo
degli scorsi Masnadieri, poiché in alcuni punti sembra
appesantito fino a fare fatica a muovere la voce.
Luca Salsi, già eccellente interprete di diversi ruoli
verdiani, è Don Carlo e in questa occasione appare molto
stanco, forse indisposto. In secondo atto non tutte le note sono ben poggiate e
in più punti rischia di perdere l'intonazione. Col procedere della vicenda trova
il suo consueto smalto negli acuti, ma i centri tendono a sbiancarsi e a perdere
di musicalità. È la primissima volta che lo si ascolta in queste condizioni.
Certamente si tratta di un momento passeggero.
Chiara Amarù è una belcantista raffinata e precisa, in
possesso di una tecnica salda e sicura, che sostiene una vocalità brillante dal
timbro caldo e brunito. La sua prova di canto è pressoché ineccepibile. C'è solo
da domandarsi se la tessitura scritta per Preziosilla possa essere
agevole per le sue corde, oppure eccessivamente rischiosa.
Anche Roberto De Candia porta una nota di lucentezza sul
palcoscenico del Teatro Regio. L'assidua frequentazione del
repertorio rossiniano gli permette di affrontare con particolare naturalezza il
ruolo di Melitone, forse addirittura con risultati migliori. Molto
probabilmente la maturazione della sua vocalità è complice di questo bel colore
e sarà molto interessante ascoltarlo prossimamente nei panni di Falstaff.
Michele Pertusi è il cantante elegante di sempre. Ogni volta
che sale in palcoscenico, oltre alle sue doti interpretative e alla sua presenza
autorevole, col suo stile e la sua classe esegue delle vere e proprie lezioni di
canto. Il fraseggio è più che espressivo e la resa di “Non imprecare;
umiliati” è sinceramente toccante. Nonostante la perfezione della sua
tecnica e l'eccellenza nell'uso della parola, per il ruolo di Padre
Guardiano è preferibile una vocalità più scura e stentorea, tale da
differenziarsi da Fra' Melitone e da uscire protagonista nella scena
della vestizione.
Bravi Simon Lim e Daniele Cusari nelle parti di
Calatrava e dell'alcade.
Completano il cast Raffaella Lupinacci come Curra,
Andrea Giovannini nei panni di Mastro Trabuco e
Gianluca Monti nel ruolo del chirurgo.
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